Il ricordo di Pier Paolo Pasolini passa anche attraverso il calcio. Quello giocato, come oggi a Pietralata, una delle tante periferie descritte dallo scrittore, poeta e regista friulano.
E questa iniziativa, qui a Pietralata, è il modo migliore per iniziare questo ricordo di Pasolini". Davoli, protagonista di suoi tanti film, oggi non è in campo ma i ricordi dell'amico sono vivi. Anche di quando inseguivano un pallone. "Non dico che viveva per il calcio, ma quasi- spiega -. Lo chiamavano lo Stukas perché era velocissimo. Aveva una passione sviscerata. Qualche volta capitava che doveva fare delle conferenze ma se c'era una partita delle volte diceva una scusa per venire a giocare". Su un campo da calcio, Pasolini tentò anche di superare un diverbio con Bernardo Bertolucci. "Ma Bertolucci ci ha un po' fregato perché schierò degli ex giocatori - spiega Davoli -. Pasolini si arrabbiò? A lui mica gli piaceva perdere. Giocava sulla fascia, era uno che faceva il doppio passo alla Biavati, era il suo idolo". Nel gioco del pallone, l'artista trovò un linguaggio, una forma espressiva assolutamente complementare alla letteratura. Il simbolo di una purezza perduta.
"Mi dispiace non aver mai avuto la possibilità di giocarci contro, sarebbe stato bello - si rammarica Matteo Garrone, per un giorno regista di centrocampo -. Da Davoli mi facevo raccontare sempre aneddoti legati alla sua vita e al calcio. Aveva una grande capacità di riuscire a capire prima di tutti gli altri quello che sarebbe successo nel nostro Paese". Giacomo Losi, invece, lo affrontò da avversario in un'amichevole al Flaminio tra l'Italianattori e gli ex di Roma e Lazio. "Mi impressionò la sua voglia - sottolinea -. Mi sembrava un ragazzino. Incitava i compagni, correva su tutti i palloni. A chi lo paragonerei? Come spirito mi sembra Florenzi. Fisicamente era mingherlino ma la voglia di giocare era tanta. Il calcio di oggi? Ho paura che gli farebbe schifo come fa a tanti di noi". Meglio quello di periferia, dove attori, giornalisti e scrittori tornano bambini. "Quando arrivò la notizia della sua morte eravamo sul campetto con Troisi e Arena - rivela Enzo Decaro -. Calò un silenzio gelido. Per noi che eravamo adolescenti fu la perdita di un punto di riferimento che era fondamentale proprio perché non aveva punti di riferimento se non la sua coscienza morale".
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