"L'isola è lo spazio più aperto che esista. Sembra chiuso da tutti i suoi lati dal mare, ma il mare non chiude, il mare apre".
"Siamo di fronte a gente che scappa e che ha tutto il diritto di vivere, come ce l'abbiamo noi - dice Camilleri -. Il muro non è altro che la proiezione fisica del muro mentale che è in te. Non stanno tenendo lontani gli altri, c'è in un gesto simile la cecità del futuro". Poi ci sono i racconti di chi salva e di chi vuole conservare la memoria di chi è rimasto imprigionato in fondo al mare: il recupero del relitto di un peschereccio, uno dei più grandi naufragi del Mediterraneo con circa 800 morti o l'impegno di Cristina Cattaneo, l'anatomopatologa dell'Università di Milano, che insieme a tanti esperti e ricercatori sta cercando di dare un nome a quelle vittime. "Raccontiamo quella tragedia dal punto di vista di chi l'ha toccata per mano - spiega Iannacone -, di quelli che sono stati accoglienti, ma che hanno saputo anche dare un senso alla testimonianza di quello che è accaduto. Ora stanno cercando di capire chi sono gli immigrati che arrivano, i naufraghi che hanno salvato. Questo è un elemento fondamentale per capire ulteriormente, è un esempio più alto di accoglienza". "Abbiamo lavorato sulle tracce - prosegue -. Siamo andati a Augusta e abbiamo seguito Cristina Cattaneo, che sta facendo il riconoscimento del dna delle vittime, che è un aspetto che ha creato anche polemica. E' una questione di dignità: la dignità non si fa sul riconoscimento dei cadaveri, si fa sul rispetto dei vivi, di chi chi non ha ancora certezze sulla sorte dei propri cari".
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