Cronaca

La strage del Mottarone, il pm Bossi: per risposte sulla fune servono analisi

Gli accertamenti irripetibili saranno disposti nell'inchiesta sull'incidente della funivia

Redazione Ansa

 "Io devo ancora chiarire con il o i consulenti tecnici quali saranno le modalità di questo accertamento irripetibile. Solo dopo faremo gli avvisi". Lo ha spiegato la procuratrice di Verbania, Olimpia Bossi, in merito ai previsti accertamenti irripetibili sulla tragedia della funivia del Mottarone che potrebbero portare a nuove informazioni di garanzia per altri indagati.

"Io non sono ancora in grado di dire perché si è verificato questo evento", ha spiegato la procuratrice di Verbania. Proprio per questo ci sarà una consulenza tecnica con la forma degli "accertamenti irripetibili". Gli accertamenti irripetibili che saranno disposti nell'inchiesta sull'incidente della funivia del Mottarone "sono finalizzati a capire perché la fune si è rotta e si è sfilata, e se il sistema frenante aveva dei difetti", e da queste analisi si vedrà se "emergeranno" anche altre responsabilità.

Nell'inchiesta uno dei punti su cui si stanno concentrando gli inquirenti è anche l'analisi delle comunicazioni, via chat o mail, tra il caposervizio Gabriele Tadini e il gestore Luigi Nerini e il direttore dell'impianto Enrico Perocchio. L'obiettivo è verificare se ci siano state indicazioni sull'uso dei forchettoni per disattivare i freni di emergenza o sulle anomalie del sistema frenante. Anomalie che hanno portato Tadini a bloccare i freni con "i ceppi". I telefoni dei tre infatti sono stati sequestrati nei giorni scorsi.

Sotto la lente di inquirenti e investigatori ci sono il ruolo e le presunte responsabilità dell'operatore che quella mattina del 23 maggio, giorno della tragedia, non rimosse i forchettoni dai freni di emergenza su "ordine", come chiarito da lui stesso a verbale, di Gabriele Tadini, caposervizio. Le analisi sulle eventuali responsabilità si concentrano su quella mattina, sulla decisione di tenere i ceppi e sulla consapevolezza del dipendente che non li tolse.

Il giudice smonta l'inchiesta della procura di Verbania sulla tragedia della funivia del Mottarone, costata la vita, il 23 maggio, a 14 persone: non convalida i fermi, rimette in libertà due indagati su tre, si dissocia da una buona parte delle prime conclusioni dei pubblici ministeri. Agli arresti domiciliari resta solo Gabriele Tadini, il dipendente con mansioni di caposervizio: era stato lui che, con una "condotta scellerata - si legge nell'ordinanza di custodia - in totale spregio della vita umana", aveva deciso di lasciare inseriti i ceppi che bloccavano i freni di emergenza; e fu lui, una volta, secondo la testimonianza di un collega, a dire "prima che si rompa una traente (un cavo - ndr) ce ne vuole". Ma non c'è prova che il gestore Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio, liberati entrambi, fossero d'accordo. "Sul piano investigativo non la vivo come una sconfitta, siamo solo all'inizio", dichiara il procuratore Olimpia Bossi annunciando nuovi accertamenti tecnici e una serie di conseguenti avvisi di garanzia. Il gip Donatella Banci Buonamici non ha accolto una serie di osservazioni dei pm. A cominciare dal timore del pericolo di fuga dei tre indagati, giudicato inesistente anche perché non basta che ci sia del "clamore mediatico" per dimostrare che qualcuno di loro volesse scappare. Poi "non convince" l'idea che i vertici dell'azienda di gestione non volessero fermare l'impianto, da poco riaperto, per ragioni economiche: "La stagione turistica - scrive il giudice - non è ancora iniziata" e almeno fino a giugno, con l'allentamento delle restrizioni anti Covid e la chiusura delle scuole, non sono prevedibili i grandi afflussi degli anni passati. Il giudice, infine, si spinge fino a vibrare una stoccata in merito al caso di un testimone - un addetto della funivia - che a suo dire "non avrebbe mai dovuto essere interrogato come persona informata sui fatti", cioè come teste, bensì come indagato. Ora sarà necessario capire per quale motivo, il 23 maggio, poco dopo le 12.00, si è spezzato un cavo, cosa che ha provocato la "folle corsa" verso valle della cabina 3, priva del freno di emergenza, e lo schianto al suolo. "Quando avremo un quadro chiaro delle società e delle persone da coinvolgere negli accertamenti tecnici manderemo degli avvisi", spiega il procuratore Bossi. Ma è sui "forchettoni", o i "ceppi" secondo il gergo degli operai della funivia, che il gip ritiene che l'ultima parola, nella caccia ai responsabili, non sia stata ancora detta. Si tratta di dispositivi che impediscono al sistema frenante della cabina di scattare in caso di necessità. Quando l'impianto è in funzione, devono essere rimossi. Eppure il 23 maggio c'erano. "Sono allibito", ha affermato un addetto quando i carabinieri gli hanno mostrato la fotografia. Secondo le indagini era il caposervizio Tadini a ordinare di mettere o togliere i forchettoni (quando non lo faceva di persona), ma il gip afferma che almeno qualcuno di loro "poteva benissimo rifiutare". Ora sarà la procura di Verbania a decidere se allargare la platea degli indagati. Tadini ha detto che dall'8 maggio lasciò inseriti i ceppi in varie occasioni "una decina di volte". La cabina 3 aveva un problema alla centralina idraulica dei freni, si fermava a singhiozzo e nemmeno i manutentori della Rvs di Torino (al lavoro in subappalto per conto dell'altoatesina Leitner) erano riusciti a venirne a capo. Da qui la decisione di lasciarli al loro posto. Tadini sostiene che "lo sapevano tutti" e, in particolare, il gestore Nerini e il direttore Perocchio, ma i due hanno negato e per il gip le testimonianze dei dipendenti accreditano la loro versione. Solo il verbale di un lavoratore, uno dei manovratori in servizio il giorno della tragedia, sembra confortare il racconto di Tadini. Ma il giudice non è convinto della genuinità del suo racconto. L'uomo - ha spiegato un collega - avrebbe dovuto togliere il forchettone, con l'autorizzazione di Tadini, prima di effettuare la corsa di prova. Non lo fece, e secondo il gip, quando fu interrogato, "sapeva bene del rischio di essere lui stesso incriminato per avere concorso a causare con la propria condotta, che poteva benissimo rifiutare, la morte d 14 turisti".

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