Passa all'unanimità, dopo un teso Consiglio dei ministri, la riforma Cartabia del processo penale. Il premier Mario Draghi fa rientrare il dissenso del Movimento 5 stelle ed evita un via libera "azzoppato" una delle riforme cruciali per l'Italia, nell'attuazione del Recovery plan. I ministri pentastellati arrivano a Palazzo Chigi con in mano la linea dell'astensione, per l'impossibilità a comporre la profonda frattura interna al Movimento. Ma Draghi li riunisce nel suo ufficio e cerca una soluzione, che faccia marciare il governo compatto su un dossier qualificante. La soluzione è citare espressamente i reati contro la Pubblica amministrazione, tra cui corruzione e concussione, tra i reati "gravi" per i quali i tempi della prescrizione processuale sono più lunghi. La mediazione che cambia in extremis le carte in tavola, però, innervosisce i partiti del centrodestra e Iv: Fi chiede una sospensione del Cdm per approfondire. Alla fine la soluzione passa. E ora Draghi chiede "lealtà" per far approvare il testo in Parlamento. Ma nel M5s il dissenso resta: alla Camera, dove la riforma Cartabia arriverà con un pacchetto di emendamenti in commissione Giustizia, i 'pasdaran' annunciano battaglia. Dopo ore ad alta tensione e uno scontro finale - con sospensione della riunione - tra M5s da un lato, e FI e Iv dall'altro, Draghi prende la parola in Consiglio dei ministri e chiede, con forza e nettezza, se tutto il Cdm sostenga "convintamente" il testo e se la maggioranza sarà "leale" in Parlamento. Tutti tacciono. Così si registra l'unanimità sulla riforma Cartabia al tavolo del Consiglio, senza un voto formale ma con un impegno politico che spetterà ai ministri far rispettare. La Guardasigilli, dopo lungo lavoro di mediazione con i partiti della larga maggioranza, incassa l'intesa su un corposo insieme di norme che riformano il processo penale, per renderne i tempi più rapidi e certi. Ma il passaggio del testo alle Camere non sarà indolore. Gli occhi sono puntati in particolare su un M5s in crisi d'identità, che vive come un passaggio doloroso la revisione della riforma Bonafede della prescrizione, approvata dal governo Conte e da allora baluardo dei Cinque stelle. L'accelerazione di Draghi, che porta il testo in Consiglio dei ministri nonostante gli auspici pentastellati di rinvio, fa vivere ai ministri M5s due giornate di tribolazione. Dopo la diramazione, in tarda mattinata, dell'ordine del giorno del Cdm, che conferma per il pomeriggio l'esame del testo, i Cinque stelle si riuniscono in conclave per quattro ore. Ci sono i ministri, i capigruppo e diversi 'big', tra cui l'ex ministro Alfonso Bonafede. L'ala 'contiana' viene descritta come la più agguerrita rispetto a un testo che, è l'accusa, affievolirebbe il contrasto in particolare a reati come la corruzione. Dalle fila parlamentari partono accuse ai ministri, che fin dall'inizio si sono mostrati più aperti a una mediazione. Non basta quanto già ottenuto, come evitare i limiti alle possibilità del pm di fare appello: la proposta dell'ala dura di fede contiana è astenersi in Consiglio dei ministri. Per essere poi liberi in Parlamento di non votare o votare contro. L'alternativa sarebbe spaccarsi: la linea dell'astensione passa. Ma qui si apre una seconda partita, a Palazzo Chigi, dove per tutto il giorno Cartabia lavora a stretto contatto con Draghi. Il premier e la ministra incontrano Di Maio, Patuanelli, D'Incà, Dadone. La ministra spiega che molte proposte sono state accolte. Sulla prescrizione la riforma Bonafede resta salva in primo grado (la prescrizione si ferma per tutti dopo la sentenza), poi in appello e Cassazione scattano i termini processuali (due anni e un anno) dopo i quali il processo si chiude per improcedibilità. C'è di più: per i reati più gravi quei termini possono salire rispettivamente a tre anni e diciotto mesi. Ma al M5s non basta. Bisogna mettere per iscritto - chiedono - che tra quei reati più gravi ci sono anche quelli contro la Pa. La richiesta passa: i pentastellati tornano a riunirsi tra loro, sanno che la mediazione scontenterà molti, ma a questo punto non possono più dir di no. Tutto bene? No, perché quando il Cdm inizia con due ore di ritardo, Renato Brunetta per Fi chiede una sospensione: le carte in tavola sono state cambiate all'ultimo, si va in una direzione poco gradita agli azzurri. Cartabia rassicura che non ci sono automatismi per gli allungamenti dei tempi di appello e Cassazione per i reati contro la Pa: il processo può essere prolungato massimo di un anno - ma il termine potrebbe ridursi - per particolare complessità del procedimento, dovuta al numero delle parti o delle imputazioni. "Sostenete questa riforma?", domanda Draghi. Alla fine il sì dei ministri è unanime, sotto forma di silenzio assenso. La Lega (unico partito a smarcarsi finora in Cdm con l'astensione sul decreto Covid) rivendica di aver mediato per l'intesa e di aver scongiurato che scomparisse il carcere, grazie ai riti alternativi, per reati gravi come associazione per delinquere e corruzione. Iv sottolinea come le modifiche fatte per accontentare i Cinque stelle non cambino la sostanza ("La riforma Bonafede è in soffitta", dice da Azione Enrico Costa), ma siano fatte solo a favore di telecamere: in Parlamento - dicono i renziani - si lavorerà per limare il testo. Il Pd ricorda a tutti quanto la riforma della giustizia sia essenziale per ottenere i fondi del Recovery plan. E per quella credibilità del Paese su cui Draghi punta con forza. Alla Camera, dove il testo è atteso in Aula il 23 luglio, si aprirà una nuova partita. Ai ministri (Cinque stelle su tutti) il compito di far rispettare l'impegno alla "lealtà" e non provare a stravolgere il testo.
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