Spesso se ne intuivano a malapena gli occhi dietro le maschere di protezione. Bisognava affidarsi alle scritte fatte col pennarello sulle tute bianche per distinguersi nei reparti, per farsi riconoscere dai pazienti, in un ripetersi continuo, estenuante, di lavoro al servizio dei più fragili. Due anni fa fu il giorno zero per il Covid in Italia, ed è per questo che oggi si celebra la Giornata nazionale del personale sanitario. Ma anche il giorno in cui per tanti operatori in camice iniziò, del tutto inaspettata, la prova più difficile.
Tanti, troppi, non ce l'hanno fatta, come Roberto Stella, il primo medico italiano a morire di Coronavirus, presidente dell'Ordine di Varese, l'11 marzo del 2020. "I nostri eroi" li chiamano, i medici e gli infermieri in prima linea contro il virus, la maggior parte rimasti noti solo alle persone vicine. Alcuni dei loro volti però, o anche solo dei loro gesti - fissati dall'obiettivo di uno smartphone - sono diventati in Italia se non in tutto il mondo un simbolo di impegno, professionalità, ma anche di caparbia umanità di fronte alla marea pandemica. Di fatica, soprattutto. Elena Pagliarini, un'infermiera di Cremona, fu forse la prima - era solo l'8 marzo del 2020 - a dare corpo nell'immaginario allo sforzo della battaglia al Covid. Aveva concluso un turno in terapia intensiva, crollò stremata sulla tastiera di un pc. Qualcuno scattò la foto. Pochi mesi dopo il presidente Mattarella la nominò cavaliere.
Simile la foto di Aurora Tocco, infermiera di Palermo, ritratta con la testa abbandonata sul volante della sua ambulanza dopo sette, otto ore con la tuta di protezione addosso in attesa del tampone per un paziente. La foto la scattò una collega. Un'altra infermiera, Alessia Bonari, volle condividere invece i lividi che le avevano lasciato sul viso le ore di maschera di protezione in un ospedale di Milano. Lo scatto fece il giro del mondo, e la ragazza fu invitata a scendere lo scalone del Festival di Sanremo 2021 e dal palco più amato del Paese diffuse un messaggio di prudenza e di solidarietà.
Da Milano a Sassari, un'altra foto simbolo che riecheggia quella forse più celebre di un medico di Dubai a cui un bimbo appena nato strappa via la mascherina dal volto sorridente. Ma è accaduto anche da noi, in Sardegna, all'ostetrica Gianfranca Fiori e al piccolo Mattia, nato da pochi minuti, che s'appende alla protezione sul volto della donna. Perché "Il Covid 19 non ferma la tenerezza delle cure" come recita una targa all'ingresso di un altro ospedale, il 'Salesi' di Ancona, teatro di un'altra foto simbolo. Un bambino di soli 7 mesi, contagiato, ricoverato in rianimazione e isolato dai genitori. Accanto a lui, accoccolata sul letto, l'infermiera Katia Sandroni in tuta anticontagio a tenergli il ciuccio.
Samar Sinjab, dottoressa in Veneto, ha curato i suoi pazienti fino all'ultimo giorno possibile prima di essere ricoverata in terapia intensiva e da lì chiedeva di loro. Non ne uscì mai: è stata il medico numero 100 a morire in Italia. Non ce l'ha fatta nemmeno Salvatore Ingiulla, medico penitenziario. Sapeva di avere una patologia che lo avrebbe messo a rischio ma non ha smesso lo stesso di lavorare. L'ennesima storia nella Spoon River dei sanitari italiani.
E poi, simbolo di speranza, la foto del V-Day del 27 dicembre 2020. La prima vaccinata d'Italia è Claudia Alivernini, un'infermiera dello Spallanzani di Roma. Neanche le assurde minacce che ricevette dai no-vax riuscirono a spegnere negli italiani il ricordo del suo sorriso, così luminoso anche dietro alla mascherina.
E la speranza di un ritorno alla normalità è tutta nello scatto, ormai storico, dei medici dello Spallanzani e dell'hub vaccinale della Croce Rossa di Fiumicino in posa assieme ai leader del G20 a Roma. Tra gli abiti formali i loro camici bianchi e le loro tute rosse. Chi è ancora qui lo deve anche loro.