È stato accertato che tre "mediatori italiani legati alla Lega", tra cui Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini e presidente dell'associazione LombardiaRussia, si mossero per "concludere transazioni commerciali con fornitori russi di prodotti petroliferi con l'obiettivo di ricavare ingenti somme" da destinare al "finanziamento del partito politico". Ed è "verosimile" che il leader leghista "fosse a conoscenza delle trattative portate avanti" per "assicurare" quegli "importanti flussi finanziari".
Al famoso incontro all'hotel moscovita del 18 ottobre 2018, oltre ai tre italiani, avrebbero partecipato Ilya Andreevich Yakunin e Andrey Yuryevich Karchenko, legati anche a Vladimir Pligin, altro politico putiniano. E un terzo russo mai identificato. Lo stesso Dugin, hanno ricostruito i pm, partecipò "alla trattativa per la vendita" di petrolio in rappresentanza "di alti esponenti dell'establishment russo". Stando ai dialoghi registrati da Meranda in un audio (consegnato da lui ai giornalisti e pubblicato da un sito americano), "i negoziatori russi si impegnavano ad ottenere" che Rosneft, colosso petrolifero controllato dal governo russo, vendesse "i prodotti petroliferi alla banca inglese Euro Ib", che li avrebbe "immediatamente rivenduti" ad "Eni Trading & Shippings". Il venditore russo, si legge ancora, "avrebbe praticato ad Euro Ib un rilevante sconto rispetto al prezzo di mercato" e la banca avrebbe dovuto rivendere "ad Ets con uno sconto molto inferiore, trattenendo" una quota destinata "ad essere in parte" girata alla Lega (circa il 4%) e in parte "ai mediatori russi per il successivo trasferimento ai loro mandanti".
Ci fu, secondo i pm, una "prova generale", ma poi l'affare da un miliardo e mezzo di dollari, con fondi neri per almeno "63 milioni", non andò in porto: il ceo di Rosneft si tirò indietro sentendo aria di tangenti e uscirono le notizie sui media, da cui nacque l'inchiesta. Dagli accertamenti è venuto a galla che ci furono "40 riunioni degli indagati tra loro e/o con esponenti della controparte russa" tra il 19 aprile 2018 e l'8 luglio 2019 tra Milano, Roma e Mosca. A fine settembre 2018, come risulta da chat tra Meranda e Savoini, il primo avrebbe riferito al secondo di un incontro in un albergo a Roma tra lui, Vannucci e Yakunin: "In definitiva ha confermato prezzo e quantità (...) Mi ha chiesto bozza contratto che, ha detto, firmeremo tra tre settimane, subito dopo il previsto incontro tra MASA e DMKO". Per i pm quelle sigle corrispondono a "Matteo Salvini e Dmitry Kozac", viceministro per l'energia della Federazione russa, "che in effetti avranno un incontro il 17.10.2018 a Mosca", alla presenza dei tre indagati "accreditati come 'Staff Salvini'".
Il 17 luglio Vannucci, parlando al telefono con Meranda, riportava un racconto di Savoini: "c'è stata la cena... erano presenti e Kappa (probabilmente l'imprenditore Kostantin Valeryevich Malofeev, ndr) è entrato nel ragionamento e gli ha detto... 'allora, Matteo, hai bisogno di una mano?'... 'eh'... dice...'sì, sa tutto lui.. non mi tenete nel mezzo... non mi chiamate...non fate il mio nome perché sono fottuto... però è una cosa che mi va bene, a cui tengo particolarmente, perché per me è la tranquillità' ...questo è quello che gli ha detto...e Kappa gli ha detto.. 'provvederemo'". Per i pm non si può parlare nemmeno di un tentativo di finanziamento illecito, né dire che Salvini "fosse stato messo al corrente del proposito di destinare una quota parte della somma ricavata dalla transazione ai mediatori russi perché remunerassero pubblici ufficiali russi". Mai individuati anche perché ad una rogatoria la Russia non ha mai risposto: c'è stata una "drastica interruzione delle relazioni" dovuta alla guerra.
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I fatti nel 2018. L'accusa, corruzione internazionale