Cronaca

L'ex maresciallo Dioguardi: 'I documenti ci sono ancora'

'Bisogna saperli cercare'. Il militare era in servizio quella notte

Ustica: cosa accadde la sera del 27 giugno 1980

Redazione Ansa

Si chiama Giuseppe Dioguardi e quella notte d'estate del 1980, quando un Dc9 precipitò in mare sui cieli di Ustica, aveva appena 19 anni, uno tra i più giovani in servizio nella sala operativa della Prima regione aerea a Milano. Ricorda tutto di quei momenti, le comunicazioni, i messaggi, la tensione e l'allarme. A distanza di 43 anni dalla strage costata la vita a 81 persone, l'ex maresciallo dell'aeronautica torna a parlare, come aveva già fatto nel 2013, dopo essere stato sentito dai magistrati ma, soprattutto, dopo essersi 'liberato' del nullaosta di sicurezza che non gli consentiva, in quanto militare, di poter parlare di quello che era successo quella notte.

"Finalmente anche Amato conferma quanto dissi io stesso dieci anni fa", dice intervistato dall'ANSA aggiungendo che "i documenti dell'epoca ci sono ancora, bisognerebbe solo saperli cercare nel modo corretto". Oggi Dioguardi ha 62 anni e una vita passata in divisa. Una carriera militare lunghissima che più volte si è intrecciata al caso Ustica, sin da quel 27 giugno del 1980, quando ha seguito minuto per minuto quanto stava accadendo sui cieli italiani. "Quella notte in volo c'erano i due Mirage e un Tomcat - ricorda -, i nostri lo avevano segnalato ma è stato dato l'ordine di silenzio assoluto. Un silenzio ripagato in alcuni casi con avanzamenti di carriera fuori dal comune e promozioni mai viste. Quando sento che Tricarico dice di sentirsi sotto attacco, vorrei ricordare che all'epoca era al terzo reparto dello Stato maggiore, quello cioè che viene informato di qualsiasi velivolo o transito. non poteva non sapere". Negli anni successivi ha lavorato nelle segreterie di numerosi ministri della Difesa, compreso Giovanni Spadolini, al quale consegnò personalmente il rapporto del Sismi sull'incidente. "Lo aveva chiesto lui che fossi io a portarglielo, si fidava ciecamente di me - racconta -. Ricordo ancora la sua espressione, sbatté i pugni sul tavolo, era infuriato. Io stesso lessi quel documento, di sette-otto pagine. Era l'aggiustamento della verità da parte degli ufficiali ordinata da qualcuno molto in alto". L'ex maresciallo, oggi in pensione nella sua Bari, ripercorre la notte della strage, fin dalla prima segnalazione sulla presenza di voli cosiddetti speciali sui cieli d'Italia, "sulla rotta che portava dalla ex Jugoslavia alla Libia".

"Si alzarono in volo i caccia intercettori da Grosseto, su input del centro Radar di difesa aerea di Poggio Ballone, che lanciarono l'allarme - ricorda -, poi ricevettero l'ordine di rientrare". A bordo dei due F-104 c'erano Mario Naldini e Ivo Nutarelli, i due piloti delle Frecce Tricolore morti nel 1988 in un incidente durante una manifestazione a Ramstein, in Germania. Una delle tanti "morti sospette", come sottolinea Dioguardi, che il caso Ustica si porta dietro. "Quando venne fornito all'epoca l'elenco su chi avesse informazioni sulla strage di Ustica - sottolinea -, l'unico ancora in vita ero io. Gli altri erano tutti morti o per cause naturali o per strani incidenti". Sta di fatto che oggi le parole di Giuliano Amato hanno riaperto di nuovo il caso e da più parti si è alzato il coro per cercare i documenti che accertino quanto sostenuto dall'ex premier. "Ci sono tantissimi documenti classificati - spiega Dioguardi -, come quelli che certificano la presenza di un aereo libico e uno francese quella notte". Entrambi i velivoli, infatti, si sarebbero fermati a far rifornimento di carburante in due aeroporti italiani, come certificherebbero alcuni verbali. "Ma esistono anche i messaggi classificati, come i tantissimi telegrammi inviati e arrivati quella notte, la cui copia non può essere distrutta - conclude Dioguardi -. E quel giorno tutti sapevano cosa era successo, ma è stato ordinato loro il silenzio". Un silenzio che creò quel "muro di gomma" sul quale oggi potrebbe essersi formata, finalmente, una crepa.

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