I genitori di Saman hanno ucciso la figlia, ma non ne hanno nascosto il cadavere. Lo zio è responsabile di entrambi i reati, i due cugini di nessuno. Non c'è stato sequestro di persona, né premeditazione: quello di Saman non è stato un delitto pianificato da tutta la famiglia. E' un quadro ridimensionato, quello che emerge dalla sentenza della Corte di assise di Reggio Emilia nel processo sull'omicidio della 18enne pachistana di Novellara. Il risultato pratico è che il padre Shabbar Abbas, detenuto dopo l'estradizione e la madre Nazia Shaheen, latitante in patria, sono stati condannati all'ergastolo.
Lo zio, Danish Hasnain, è stato condannato a 14 anni in virtù della concessione delle attenuanti generiche, della caduta delle aggravanti, e soprattutto come effetto del rito abbreviato, chiesto in udienza preliminare, che comporta la riduzione di un terzo della pena. I due cugini, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, in custodia cautelare da maggio 2021 e febbraio 2022 dopo essere stati rintracciati in Spagna e Francia, escono invece dal tribunale reggiano come uomini liberi, giusto il tempo di passare dal carcere per sbrigare le formalità.
Non ha dunque retto l'impostazione della Procura reggiana di un omicidio pianificato da tutta la famiglia, ma sono state individuate responsabilità specifiche: Bisognerà leggere le motivazioni per cogliere il ragionamento sottostante, il movente individuato, la spiegazione dei ruoli. Un altro aspetto importante è l'uscita di scena, dal punto di vista degli effetti processuali, di altri due personaggi chiave della storia. La Corte (presidente Cristina Beretti) nel dispositivo letto dopo circa cinque ore di camera di consiglio ha respinto ogni richiesta risarcitoria da parte del fidanzato e del fratello della giovane vittima, entrambi costituiti parte civile. Risarcimenti sono invece stati concessi alle associazioni a sostegno delle donne, 25mila euro ciascuna a Non da sola, Trame di Terra, Udi, Differenza donna; alle associazioni islamiche, 10mila a Confederazione islamica italiana, centro islamico culturale d'Italia, Ucoii; 30mila euro all'Unione comuni bassa reggiana, 50mila al Comune di Novellara.
Somme che dovranno, in teoria, essere liquidate da Nazia e Shabbar, che oggi ha respinto fino all'ultimo ogni accusa. In un processo dove è stata giudicata una famiglia intera, con le sue regole e le sue relazioni, le sue abitudini di vita, l'estremo capitolo è stato proprio per il padre. Arrestato a novembre 2022 nel Punjab e arrivato in Italia a settembre di un anno dopo, con un'estradizione storica concessa dal Pakistan, ha scelto di parlare alla fine e ha dichiarato spontaneamente per un'ora e quaranta minuti. Sempre a braccio, in un italiano imperfetto ma con una ricostruzione tutto sommato puntuale della propria versione dei fatti, ripercorrendo le ultime fasi della vita della figlia e i giorni successivi. Ha elencato, a più riprese, quelle che sarebbero le cose non vere sul suo conto. Solo per un momento, ha ceduto al pianto: "Mai nella vita mia ho pensato di uccidere mia figlia. Neanche gli animali fanno queste cose. Signori giudici non ho mai pensato queste cose", ha detto. "Era mio cuore, mio sangue, ho portato qua il mio cuore e il mio sangue. Non ammazzo figli, non sono un animale. Neanche da pensare", ha ribadito.
"Non è vero che sono persona ricca, non è vero che sono una persona mafiosa. Non è vero che ho ammazzato una persona qua, una in Pakistan. Non è vero che sono andato a casa di Saqib a minacciare. Anche questo è falso, come quelli che dicono 'ha ammazzato la figlia ed è scappato via'", ha detto. "Prendete la decisione giusta, io non dico niente", le sue ultime parole. Ascoltata la sentenza a suo carico, ha lasciato l'aula in silenzio. Commossi, invece, i due cugini, che hanno abbracciato i difensori, gli avvocati Mariagrazia Petrelli e Luigi Scarcella. In attesa di un eventuale ma probabile appello, per loro inizia una nuova epoca di libertà.
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