(ANSA) - SALAPARUTA, 14 GEN - "Il terremoto? Difficile
descriverlo, si vive e ti cambia la vita". Gaetano Santangelo,
88 anni, è uno dei testimoni che ancora oggi può raccontare il
sisma che la notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, colpì la
Valle del Belìce.
A 56 anni dal terremoto che devastò i paesi di tre province -
Trapani, Agrigento e Palermo - Gaetano Santangelo racconta oggi
con lucidità quei momenti vissuti quando aveva 32 anni: "quel
giorno era domenica come oggi - dice - la prima scossa delle ore
13 l'avvertii mentre mi trovavo in campagna a fare la legna. Non
pensavo fosse terremoto, solo arrivando a casa ho trovato la
famiglia preoccupata. La seconda scossa nella notte, uscimmo
fuori mentre ancora tutto tremava. C'era la neve e ci rifugiammo
nella casa di campagna. Intorno solo morti e macerie".
Le baracche sono state i luoghi della speranza per i
cittadini del Belìce che non avevano più le case. "Dovevamo
stare poco, ci fu detto - racconta Gaetano Santangelo - ma,
invece, ci abbiamo abitato per 16 anni, crescendo i figli in
ambienti stretti e angusti. Però è nelle baracche che abbiamo
riscoperto la solidarietà dello stare insieme, tra persone
accomunate dallo stesso destino".
Nel nuovo centro di Salaparuta Gaetano Santangelo si è
trasferito con la sua famiglia nel 1982. Strade ampie, assetti
urbani disegnati a Roma e tradotti sul territorio. "Qui la vita
sociale è cambiata - ammette l'anziano - perché la distanza
fisica tra una cosa e l'altra ha posto una trasformazione delle
relazioni. Oggi parlare di ricostruzione a 56 anni dal sisma è
una cosa ingiusta - ammette - è tempo di chiuderla per non
mortificare ancora noi abitanti di questo territorio". (ANSA).
Il postino, quel terremoto che nel '68 cambiò le nostre vite
56 anni fa il sisma del Belìce, il racconto di un testimone