Un corpo martoriato dalle torture. Segni evidenti delle sofferenze inflitte per giorni in una villetta in uso ai servizi segreti egiziani. Dalle parole dell'ex ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, emerge la violenza delle sevizie a cui fu sottoposto Giulio Regeni tra il 25 gennaio del 2016, giorno del suo sequestro, a quando venne ritrovato, il 3 febbraio sulla strada che unisce la capitale con Alessandria d'Egitto. Il diplomatico è stato sentito come testimone nel procedimento che si sta svolgendo davanti alla prima corte d'Assise della Capitale. Una lunga, dolorosa, audizione durata oltre quattro ore. Massari, attualmente ambasciatore italiano all'Onu, ha messo in fila una serie di tasselli ricostruendo quei drammatici giorni di 8 anni fa.
"Mi recai personalmente nell'obitorio dove era tenuto il corpo di Giulio - ha affermato rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco -. Erano evidenti segni di torture, dei colpi ricevuti su tutto il corpo con ematomi e segni di fratture e tagli". La notizia del ritrovamento del corpo gli fu comunicata il 3 febbraio dal viceministro degli esteri egiziano. "Ricordo poi che ho ricevuto alcuni messaggi dalla tutor di Regeni presso l'università americana al Cairo. Fu lei a dirimi dove si trovava il corpo, mi consigliò di recarmi lì e di insistere affinché l'autopsia non venisse effettuata in Egitto", ha aggiunto il diplomatico. Massari, che è stato ambasciatore al Cairo fino all'aprile del 2016, è poi tornato con la memoria al giorno della scomparsa di Regeni. "Il 25 gennaio era una giornata particolare - ha affermato -, era l'anniversario della rivoluzione egiziana: c'era molta polizia, c'erano state perquisizioni. Dalle ambasciate mandavamo avvisi agli italiani di evitare zone pericolose, assembramenti. Giulio però non lo ha ricevuto, non era registrato, non c'era nessun obbligo".
Quella notte il diplomatico venne contattato telefonicamente da un amico di Giulio. "Ricordo di avere ricevuto intorno alle 23.30 una telefonata di un professore italiano che mi disse di non avere più notizie di Regeni da alcune ore e che non si era presentato a un appuntamento che avevano quella sera e il cellulare risultava spento. Immediatamente avvisai il capocentro dell'Aise in ambasciata che si attivò con i suoi contatti alle quali, però, non risultava alcuna notizia su Regeni".
Il 2 febbraio, dopo che la notizia della sparizione del ricercatore friulano era diventata ufficiale, l'ambasciatore venne ricevuto dal ministro degli Interni egiziano. "Non avemmo alcuna notizia sulle sorti di Giulio ma il ministro fece dei riferimenti alle videocamere della metropolitana del Cairo dalle quali non risultava alcun passaggio di Giulio la sera del 25 gennaio". Il teste ha riferito che in quei giorni furono allertate tutti i canali. "Contattammo persone della società civile egiziana in particolare quelle legate alla difesa dei diritti umani. Ci parlarono della ricerca di Giulio sui venditori ambulanti, che era 'attenzionato' da tempo, che era stato fotografato. Legavano la sparizione all'attività di ricerca di Giulio. Tutto induceva a ritenere che Giulio fosse stato in qualche modo fermato dalle autorità egiziane, che ci fosse qualcosa legato alla sua attività di ricerca che poteva aver dato fastidio", ha aggiunto il diplomatico che ha ricordato come in passato c'erano stati degli episodi di sparizioni di nostri connazionali risolti poi dopo pochi giorni.
"Venivano ritrovati dopo alcuni giorni - ha aggiunto -. Ricordo per esempio un ingegnere che svolgeva al Cairo attività di ricerca e un giorno venne arrestato perché si era spinto in una zona militare. Poi venne rilasciato". Agli atti delle indagini anche quanto prodotto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta. I giudici hanno, infatti, dato il via libera all'acquisizione dei documenti così come sollecitato dalla Procura.
Leggi l'articolo completo su ANSA.it