Cronaca

L'omicidio di Serena Mollicone, la famiglia Mottola assolta ancora

La sentenza è stata accolta in aula da un silenzio irreale. La sorella della ragazza uccisa ad Arce: 'Questa non è giustizia'

Redazione Ansa

Tutti assolti, anche in secondo grado. Per l'omicidio di Serena Mollicone, trovata cadavere il primo giugno del 2001 in un boschetto ad Arce, centro in provincia di Frosinone, non ci sono colpevoli. Lo hanno ribadito i giudici della Corte di Assise di Appello di Roma, dopo circa tre ore di camera di consiglio, che hanno confermato l'assoluzione, già riconosciuta in primo grado a Cassino nel luglio del 2022, per l'ex comandante della stazione dei carabinieri di Arce, Franco Mottola, per la moglie Annamaria e per il figlio Marco.

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 I tre erano accusati di concorso in omicidio volontario. Nessuna condanna anche per gli altri due imputati: il militare dell'Arma, Vincenzo Quatrale, anch'egli accusato di concorso, e per l'altro carabiniere, Francesco Suprano, accusato di favoreggiamento. La sentenza è stata accolta con un silenzio irreale.

In aula, gremita di semplici cittadini e giornalisti, nessun grido di protesta. "Sono molto amareggiata. Questa non è giustizia", ha commentato Consuelo, sorella di Serena apparsa visibilmente scossa.

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Dal canto suo lo zio della 18enne morta 23 anni fa, Antonio, ha ribadito la sua richiesta di giustizia. "Si faccia di tutto per arrivare alla verità: ho il dovere, come cittadino italiano e zio di Serena di fare in modo che emerga la giustizia pro Serena perché fino ad ora non è ancora emersa". I giudici hanno, inoltre, condannato al pagamento delle spese di giudizio i familiari Serena.

In aula erano presenti Franco e Marco Mottola. Dopo la lettura del dispositivo hanno trattenuto a stento le lacrime per poi abbracciare gli avvocati difensori.

Lasciando la cittadella giudiziaria non hanno però trattenuto la rabbia. "E' la fine di un incubo? Questo incubo lo avete causato voi", ha detto Marco rivolto ai giornalisti, mentre il padre si è limitato a dire che "giustizia è fatta: ho sempre detto che non c'entravamo niente".

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Non ha quindi retto l'impianto accusatorio della Procura Generale che aveva sollecitato condanne ad oltre vent'anni per ciascun componente della famiglia Mottola. Nelle conclusioni della requisitoria l'ufficio del procuratore generale, così come avvenuto nel corso del processo di primo grado a Cassino, aveva richiamato il parallelismo tra la tragica morte di Serena e quella di Marco Vannini, il giovane che fu ferito a morte a Ladispoli, in provincia di Roma, nel 2015 da un colpo di pistola mentre era a casa della sua fidanzata, Martina Ciontoli, esploso dal padre di quest'ultima, Antonio. Il pg ha fatto riferimento all'obbligo di "garanzia e di protezione dei titolari dell'abitazione nei confronti di persone da loro ospitate che si trovino in pericolo di vita".

Per l'accusa, invece, dopo che Marco Mottola fece sbattere la testa della ragazza contro una porta della foresteria della caserma dell'Arma, nessuno mosse un dito, non fu soccorsa e, di fatto, lasciata morire e poi abbandonata nel bosco dove venne ritrovata. Nel corso delle repliche il pg ha ribadito l'impianto accusatorio affermando che Serena "è rimasta per molte ore in stato di incoscienza, dopo essere stata scaraventata contro la porta della foresteria della caserma prima di essere soffocata".

Secondo l'impianto accusatorio Franco Mottola, mise in atto il piano per 'coprire' il figlio, sbarazzarsi del corpo e, nel corso delle prime indagini a lui affidate, depistare. Una morte, era il convincimento del pg, legata ad una azione 'concorsuale' di tutta la famiglia Mottola. "Tutte e tre l'hanno soffocata con il nastro adesivo" ha detto in aula il pg durante la requisitoria. Quella della 18enne è stata una lunga agonia, durata quasi dieci ore. Una fine tragica che, però, potrebbe non avere responsabili.

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