Cronaca

Strage Tribunale, il ministero condannato a risarcire la famiglia Appiani

'Da via Arenula e ditta security 1,2 milioni di euro ai parenti'

Targa in memoria delle vittime della strage (foto d'archivio)

Redazione Ansa

Il ministero della Giustizia e la società di vigilanza All System sono stati condannati dal Tribunale civile di Brescia a versare oltre 1,2 milioni di euro come "risarcimento dei danni per la morte" di Lorenzo Claris Appiani, ai familiari dell'avvocato che fu una delle tre vittime della strage compiuta a colpi di pistola da Claudio Giardiello, a processo per bancarotta, il 9 aprile 2015 nel palazzo di Giustizia di Milano.

La causa era stata intentata dalla famiglia del 37enne. Per il giudice sul ministero "grava" l'obbligo di "garantire" la "sicurezza" a "tutti coloro che per vari motivi debbono accedere ai palazzi di giustizia". 

Quella mattina di nove anni fa l'imprenditore Claudio Giardiello, a processo per bancarotta, uccise a colpi di pistola l'avvocato e testimone nel dibattimento Lorenzo Claris Appiani, 37 anni, il coimputato Giorgio Erba e poi, nel suo ufficio, il giudice Ferdinando Ciampi.

Sul fronte della sicurezza si sollevarono ovviamente tantissime polemiche e sotto processo era finito solo uno dei vigilantes privati che erano all'ingresso quel giorno: assolto in primo grado, condannato in secondo e morto per un malore mentre era in attesa dell'appello bis, dopo la Cassazione.

Mentre Giardiello fu condannato all'ergastolo per la strage.

Intanto, i genitori dell'avvocato, Alberta Brambilla Pisoni e Aldo Claris Appiani, hanno intentato la causa civile a Brescia contro il ministero, la società privata di vigilanza e il Comune di Milano. Quest'ultimo non è stato ritenuto responsabile e non è stato condannato.

Il giudice Gianni Sabbadini spiega nella sentenza che è stato "accertato che il Giardiello ha introdotto l'arma utilizzata per gli omicidi" nel Palazzo di Giustizia milanese "attraverso l'ingresso di via San Barnaba con la pistola custodita all'interno della valigetta transitando nel macchinario Fep (tunnel radiogeno) cui era" addetta la guardia privata che finì imputata.

Per il Tribunale "l'ingresso nel Palazzo di Giustizia di una persona con una pistola non può considerarsi all'evidenza un caso fortuito, né appare giustificabile - si legge - il fatto che la suddetta persona abbia potuto poi spostarsi indisturbata nel Palazzo di Giustizia dal terzo piano al secondo piano, dopo aver già sparato vari colpi in aula attingendo più persone".

Alcune rimasero ferite. Da tutto ciò "si deduce un'evidente carenza nel controllo della sicurezza anche all'interno degli ambienti del Palazzo di Giustizia".

Sempre per il giudice di Brescia, non vennero effettuati "i dovuti controlli permettendo al Giardiello di entrare nel Palazzo di Giustizia con la pistola con cui ha poi ucciso". E ciò anche se nel "passaggio della valigetta nel tunnel radiogeno appariva sullo schermo del macchinario l'immagine di tre macchie scure, indicanti la presenza di elementi con numero atomico elevato, quindi presumibilmente di metallo". 

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