Ci sono le prime smagliature nella rete delle presunte cyber-spie e sui dossieraggi scoperta dalle indagini della Dda di Milano e della Dna e che la scorsa settimana ha portato a quattro arresti domiciliari, tra cui quelli dell'ex super poliziotto Carmine Gallo e del suo 'braccio destro' Nunzio Samuele Calamucci, due sospensioni dal servizio e una raffica di perquisizioni.
La rete di presunte cyber-spie aveva un progetto "segreto nel cuore", per usare le parole di Nunzio Samuele Calamucci, la mente tecnologica del gruppo, ai domiciliari come l'ex super poliziotto Carmine Gallo. Un progetto chiamato 'Safe Harbour', ossia 'Porto Sicuro' nato per "ragioni di sicurezza" nel caso di accertamenti e indagini. Come si legge negli atti il piano, che ha visto la luce nel maggio scorso e che Calamucci "desiderava realizzare per agevolare le attività criminose" del network di via Pattari, è stata la costituzione della società 'Safe Harbour', con sede legale a Reggio Emilia e "capitale sociale modesto" in modo da consentire "al gruppo non solo di drenare risorse movimentandole dalle società capofila", la Equalize, ma anche di 'allontanare' da via Pattari la catena di formazione, realizzazione e distribuzione dei report e di gestione della piattaforma Beyond.
Mentre l'Agenzia per la cybersicurezza nazionale "rigetta ogni insinuazione circa presunte forme di compromissione dei propri servizi digitali", stamane è stato il giorno degli interrogatori di garanzia davanti al gip milanese Fabrizio Filice.
Da un lato Gallo e Calamucci con le loro dichiarazioni spontanee si sono difesi ("In 41 anni ho servito le istituzioni e anche adesso collaborerò con le istituzioni", ha detto Gallo), dall'altro ci sono state le prime ammissioni. Marco Malerba, il poliziotto destinatario di una misura interdittiva, è stato l'unico dei sei a rispondere alle domande. "Sì, facevo gli accessi abusivi per i dati, nell'ambito di un rapporto di scambio di favori", ha affermato. Favori che, a suo dire, gli venivano richiesti da Gallo un tempo responsabile del commissariato di Rho-Pero nel Milanese: al suo "ex capo" non sarebbe "riuscito a dire di no".
In cambio avrebbe ricevuto, tra l'altro, raccomandazioni per visite mediche o quando si trattava anche di un tavolo al ristorante. E pure il pagamento di spese legali. Anche Massimiliano Camponovo e Giulio Cornelli, due dei più esperti hacker della squadra che ruotava attorno alla Equalize, di proprietà di Enrico Pazzali, il presidente indagato di Fondazione Fiera, autosospesosi, sebbene si siano avvalsi con le loro parole hanno aperto spiragli importanti al pm Francesco De Tommasi, che coordina le indagini con l'aggiunto Alessandra Dolci e il Procuratore Marcello Viola.
Il primo ha parlato di "una mano oscura che muoveva questo sistema" per descrivere ciò che lui aveva percepito, che lo preoccupava, tanto da temere per la sua vita e per quella dei suoi familiari. Per questo "facevo i report con i dati che mi davano". Cornelli, invece, con le lacrime agli occhi, ha spiegato. "chiarirò tutto quello che potrò chiarire. Voglio uscire" da questa brutta situazione e "tagliare con ambienti che non mi riguardano". Come ha riferito il suo legale, l'avvocato Giovanni Tarquini, il tecnico informatico ha aggiunto di non riconoscersi "in quella figura che gli viene attribuita" dalle indagini in quanto "non è dentro in alcun contesto associativo criminale" bensì "in una vicenda delicata dai contorni ancora da definire" su cui vuole rendere lumi "per uscire e tagliare i ponti" con ambienti che, ha sostenuto, non lo riguardano. Dunque, non appena con il suo difensore avrà letto gli atti, dovrebbe rendere interrogatorio ai pm. Anche Gallo e Calamucci, entrambi difesi dall'avvocatessa Antonella Augimeri, vogliono rendere interrogatorio e collaborare, ma in chiave difensiva.
Il super poliziotto, che in alcune intercettazioni dice di aver "lavorato nei servizi", che si definisce un "servitore dello Stato", ha affermato di voler parlare "ai pm per dimostrare la mia innocenza". E l'altro protagonista delle indagini, in quanto 'mente tecnologica del gruppo', ha tenuto a precisare che "dal punto di vista empirico le cose che ho letto sugli organi di stampa sono impossibili da realizzare", negando quindi di aver mai 'bucato' lo Sdi, in quanto, a differenza di quanto emerge dalle intercettazioni, lui e i suoi uomini non sarebbero stati in grado.
Eppure, per esempio, nel giugno dell'anno scorso, è arrivato l'ordine di Pazzali di entrare nella banca dati del ministero dell'Interno per verificare se fosse o meno indagato. E questo perchè un suo "amico" alto ufficiale della Gdf gli avrebbe riferito di aver saputo di una inchiesta nei suoi confronti su un bonifico su un suo conto di 200 mila euro da parte di Banca Intesa. Una vicenda su cui proprio in quei giorni in Procura erano in corso le audizioni dei manager dell'Istituto di Credito. Sul nuovo caso giudiziario che ha squarciato il velo su un "gigantesco traffico di dati riservati" su commissione di clienti come lo ha definito il Procuratore della Dna, Gianni Melillo, è intervenuto il ministro dell'interno Matteo Piantedosi, al question time al Senato: "Le indagini di Milano, ma anche quelle che nel recente passato hanno evidenziato attività illecite finalizzate al dossieraggio, pongono il tema della gravità di comportamenti di chi potrebbe utilizzare dati illecitamente acquisiti, non solo per scopo di lucro, ma anche per attaccare gli avversari politici alterando le regole della democrazia".
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