(di Maria Grazia Marilotti)
(ANSA) - CAGLIARI, 25 NOV - "Dai soprusi e dalle
intimidazioni la violenza è a un passo, quasi non la vedi
arrivare e il rischio è poi di subirla inerme, di assuefarti a
quella situazione". Racconta la sua storia con un obiettivo,
Silvia, nome di fantasia, 38 anni, sopravvissuta a un
femminicidio: "Aiutare anche una sola donna a chiedere aiuto -
spiega all'ANSA - prima che sia troppo tardi e si arrivi a un
punto di non ritorno, la sudditanza psicologica è già una chiara
avvisaglia".
Si guarda indietro Silvia e ricorda quando nella sua città,
nel nord 'Italia, vedeva quei manifesti dei centri antiviolenza
affissi sui muri. "Ho pensato un sacco di volte di chiamare quei
numeri, ma non lo ho fatto perché - confessa - avevo paura di
perdere i miei figli se avessi deciso di abbandonare
quell'inferno chiuso fra le quattro mura domestiche". Ma alla
fine ha trovato il coraggio e si rivolta a un centro
antiviolenza in Sardegna.
"Sono stata accolta in una casa protetta con i miei bambini -
racconta - pian piano, attraverso un percorso difficile, a
tratti doloroso ma costruttivo, ho riconquistato la dignità e la
libertà". Ora Silvia, rientrata a a casa, ha un lavoro, tanti
amici e amiche, tanti interessi, i viaggi, le escursioni in
montagna, la scrittura, la fotografia. "Mi sono ripresa la mia
vita - dice sicura - Se mi sono salvata devo dire grazie al
centro antiviolenza in Sardegna e prima ancora ad una psicologa
a cui mi ero rivolta perché ero preoccupata per le conseguenze
della situazione che stavo vivendo, per i miei figli. Mi ha
detto che in realtà quella in pericolo ero io, convincendomi a
rivolgermi a un centro antiviolenza".
Tre figli ancora minorenni, un matrimonio violento alle
spalle. "Con mio marito ci siamo conosciuti da ragazzini -
rievoca - Avevo sempre tra le dita la sua fotografia, la
guardavo con gli occhi dell'amore. Non potevo immaginare che
insidia si nascondesse dietro quel sogno romantico. Le
avvisaglie c'erano tutte, ma io le sottovalutavo". Silvia
racconta di una relazione possessiva, fatta di divieti,
imposizioni: "Mi ripeteva 'devi essere una brava ragazza, non
indossare la minigonna, niente scollature, niente uscite con le
amiche, e dopo la scuola subito a casa'. Poi è arrivato il
matrimonio, i figli, e le violenze, prima psicologiche e poi man
mano anche fisiche. Mi aveva isolato da tutti, persino dai miei
familiari e non potevo disporre neanche di pochi euro per fare
la spesa. Tutto era controllato da lui. Ogni mia piccola
insubordinazione veniva punita inizialmente con musi e silenzi.
Ero del tutto sottomessa. Ma non mi rendevo conto, mi sembrava
la normalità, ogni volta riusciva a convincermi che sarebbe
cambiato".
Oggi Silvia è una donna consapevole: "Senza il centro
antiviolenza non ce l'avrei mai fatta - ribadisce - Adesso mi
sento forte. Ho compreso che le relazioni hanno senso se
arricchiscono entrambi e sono alla pari. Ho imparato quanto sia
importante leggere i segnali. Se mi guardo indietro mi sembra
assurdo che non me ne rendessi conto. Ho potuto verificare sulla
mia esperienza che rivolgersi ai centri antiviolenza, con la
loro competenza e strumenti adeguati, può dare una svolta a
tragici destini e salvare tante vite". (ANSA).
Silvia, 'il mio percorso verso la libertà'
Dalla paura alla consapevolezza grazie a centro antiviolenza