E' una sfinge il volto di Gino Cecchettin dopo la lettura della sentenza che ha condannato all'ergastolo Filippo Turetta. Fuori dell'aula della Corte d'Assise di Venezia, davanti alle telecamere, si concede con la solita pazienza al rito delle interviste. Il suo viso è quasi inespressivo ma la sue parole sono cariche di amarezza. E anche di forza.
"La mia sensazione? - dice - è che abbiamo perso tutti come società, nessuno mi ridarà indietro Giulia, e io non sono né più sollevato né piu triste di ieri e o di domani".
Quando i cronisti gli chiedono cos'à provato nel sentire la parola "ergastolo", il papà di Giulia risponde così: "pensavo di rimanere impassibile, penso sia stata fatta giustizia e rispetto la sentenza, ma la violenza di genere non si combatte con le pene, bensì con la cultura. Come essere umano mi sento sconfitto. Come papà non è cambiato nulla rispetto a un anno fa". Cecchettin non vuole entrare nel merito del verdetto, o sul non riconoscimento da parte della Corte delle aggravanti della crudeltà e degli atti persecutori: "la giuria si è pronunciata, non entro nel merito della pena perché ho sempre detto che non l'avrei fatto. La battaglia adesso continua".
Ed è una lotta che va fatta soprattutto nella società, non nelle aule dei tribunali. "E' un percorso che dobbiamo fare come società, dobbiamo capire cosa è crudeltà e cosa è stalking, su questo ci sarà da dibattere - sottolinea - Mi dedicherò alla Fondazione per Giulia, andremo avanti come stiamo facendo, cercando di salvare altre vite". Poi Gino torna sul momento della lettura della sentenza. "Ero impassibile - spiega - avrei accettato qualsiasi verdetto; ma quando è arrivato ho capito che essere qui, tutti, vuol dire che abbiamo perso tutti la battaglia. E parlo come cittadino, non come padre. Adesso guardiamo avanti, cercando di non trovarci più qui con altri papà, con altri giornalisti. Aiutateci in questo percorso perché c'è tanto da fare". E a chi gli chiede se la memoria di Giulia oggi è stata onorata, risponde così: "oggi eravamo qui per un percorso legale, per un patto sociale che la società si dà. Non è questa la sede per onorare la memoria di Giulia".
Quanto a Turetta, Gino Cecchettin lo ha praticamente ignorato per tutto il processo e anche oggi in aula non c'è stato un solo momento in cui lo abbia guardato, seduto a pochi metri da lui. "Non mi aspetto scuse - dice il papà di Giulia - il mio percorso è un altro. Io ho perso tutto, andrò avanti con il mio percorso". C'è stato però un momento intenso in aula, dopo l'aspro scontro a distanza tra il papà di Giulia e il difensore di Turetta, Giovanni Caruso. L'arringa pronunciata dal legale nella precedente udienza, quado Caruso aveva cercato di smontare la tesi della premeditazione, aveva ferito Cecchettin perché con quelle parole era stata "umiliata la memoria di Giulia".
Così prima dell'inizio dell'udienza, Caruso si è alzato dal banco per stringere la mano ai colleghi delle parti civili, avvicinandosi anche a Cecchettin. Tra i due c'è stata una stretta di mano, e un breve conciliabolo. "Mi ha fatto molto piacere potermi chiarire" ha spiegato Caruso. "Con l'avvocato ci siamo stretti la mano - ha confermato più tardi Cecchettin - Lui doveva fare il suo lavoro, io mi sono sentito offeso. Ci siamo chiariti, da persone civili, con punti di vista diversi. Chiaro che il mio punto di vista è quello del genitore, ma da persone oneste ci siamo chiariti e si è fatta pace".
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