"Un nostro giornalista ha scritto un libro sulle api, sostenendo che quando le api sono sotto minaccia l'intero mondo è sotto minaccia. I giornalisti sono come le api e c'è bisogno di organizzazioni forti per sostenerli. Il caso Snowden lo dimostra, se la battaglia fosse stata contro un blogger isolato tutto sarebbe finito sotto silenzio". Il direttore del Guardian, Alan Rusbridger, arriva a Roma per l'anteprima del Festival di giornalismo al via domani a Perugia e in un dibattito con il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, tira le somme di un anno difficile, iniziato con la diffusione delle prime informazioni fornite dalla 'talpa' Edward Snowden e finito due settimane fa con l'assegnazione del Pulitzer al quotidiano.
"La cosa che mi ha fatto piacere è stata che il premio è stato assegnato per il servizio pubblico - spiega Rusbridger -, riguardava qualcosa che andava oltre il giornalismo. Il servizio pubblico è proprio quello che voleva Snowden: rivelare qualcosa che era ed è tuttora invisibile alla maggior parte delle persone. Credo però che anche Obama e i servizi segreti abbiano compreso che intrusioni nella vita privata di quella portata possono essere realizzate solo con il consenso e un preventivo dibattito". Il direttore del Guardian risponde poi alle accuse di antipatriottismo e complicità con il terrorismo arrivate da più parti, anche dagli altri media.
"Durante la mia deposizione alla commissione d'inchiesta mi è stato chiesto se amassi il mio Paese - ricorda -. La domanda mi ha sorpreso e io ho risposto che amo del mio Paese il fatto che abbia promosso e secondo alcuni creato il concetto della libertà di parola e di stampa. Il fatto che il primo ministro abbia ordinato di distruggere i nostri computer, costringendoci a fare il nostro lavoro dagli Stati Uniti, ha danneggiato l'immagine della Gran Bretagna". Rusbridger non risparmia però critiche anche alle politiche seguite oltreoceano. "Negli Stati Uniti abbiamo trovato un santuario della libertà di parola grazie al primo emendamento - spiega -, ma ci sono tante 'talpe' che vengono perseguite, con Obama più che nel passato. L'America si comporta in modo punitivo verso chi diffonde informazioni per servizio pubblico. Per fortuna però le nuove tecnologie consentono di aggirare alcuni ostacoli, ci consentono di individuare il luogo migliore da cui diffondere certe informazioni". Anche Mauro sottolinea l'importanza della libera stampa, perché - sostiene - "il potere ha oggi una capacità di egemonia culturale maggiore che in passato, che si esercita nella banalizzazione dei temi, come è accaduto con il Datagate quando si diceva che era tutto già noto. Invece non sapevamo molte cose. Compito del giornalismo è dare un nome alle notizie, assumendosi la responsabilità di assegnare loro un peso. Così si manda a vuoto la banalizzazione del potere e si obbliga a prendere posizione". Rusbridger parla quindi delle strategie editoriali del Guardian.
"Tre anni fa abbiamo avviato un piano industriale e per ora andiamo oltre le nostre previsioni - afferma -. Pubblicheremo tra un mese i risultati che sono migliori dell'anno passato e di quello precedente. I nostri direttori commerciali non vogliono il 'paywall' per il sito perché pensano che siamo sulla strada giusta". "Stiamo pensando di lasciare Repubblica.it gratuito - fa sapere invece Mauro - e aggiungere un'offerta premium per chi, non solo è abbonato a Repubblica più, ma che è interessato a nuovi servizi speciali che stiamo cercando di predisporre". L'incontro di ieri sera all'Auditorium di Roma, organizzato dall'Enel, ha aperto le danze del Festival in programma da domani al 4 maggio a Perugia. Oltre 200 eventi e 400 ospiti molti stranieri: da Jeff Jarvis della J-School City University of New York a Margaret Sullivan, Public editor del New York Times, da Richard Gingras, direttore news & social products di Google, a Wolfgang Blau, direttore digital strategy del Guardian. In programma incontri con esperti di data journalism come Simon Rogers (Twitter) e Aron Pilhofer (New York Times). Presenti anche il presidente della Camera, Laura Boldrini, e il ministro della Giustizia, Andrea Orlando
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