''Signorina, veniamo noi con questa mia a dirvi che, scusate se sono poche, ma settecentomila lire, noi ci fanno specie che quest'anno c'è una bella moria delle vacche come voi ben sapete''.
Probabilmente senza questa lettera, scena cult di 'Totò, Peppino e la... malafemmina' di Camillo Mastrocinque, che il 14 agosto compie sessanta anni, non sarebbe uno dei film più amati dagli italiani anche al centesimo passaggio tv.
Il fatto è che a dettare quella lettera c'era Antonio Caponi (uno straordinario Totò) al fratello Peppino (Peppino De Filippo). Due proprietari terrieri, ma soprattutto molto meridionali e cafoni quanto basta per essere boriosi e ridicoli allo stesso tempo. Specie quando di mezzo c'era una lettera da scrivere a una 'malafemmina' milanese di 'alto bordo' (così la definisce Totò). E questo per salvare Gianni (Teddy Reno), figlio di Lucia (Vittoria Crispo), la loro sorella vedova, che si era perdutamente innamorato di Marisa (Dorian Gray), prima ballerina di avanspettacolo.
La celebre scena della lettera:
Una curiosità. Anche se la firma della lettera in calce era quella dei fratelli Caponi (''che siamo noi''), a scrivere quella deferente e boriosa missiva aveva contribuito, nella veste di aiuto regista di Camillo Mastrocinque, un giovane Ettore Scola. E sembra che tra i suoi contributi ci fosse anche la celeberrima frase ''grande morìa delle vacche''.