(ANSA) - Bob Dylan affronta The Great American Songbook con lo stesso atteggiamento con cui ha deciso di ritirare il Nobel: "vengo quando ho tempo, si potrebbe fare in primavera quando ho tre concerti in Svezia". Solo lui si può permettere di affrontare alcune delle più belle canzoni della storia con questa noncuranza, quasi volesse dimostrare che l' intonazione non è un dogma. "Triplicate" è il terzo capitolo di una trilogia dedicata ai grandi standard americani, formata da "Fallen Angels" e "Shadows In The Night".
Questo è un album triplo, registrato con lo stesso concetto con cui si registravano i vinili, rispettando la divisione in "lato A" e "lato B", per evitare lo scempio della compressione digitale. Gli errori, e sono tanti, sono stati volutamente tenuti per preservare l'autenticità del clima dell'esibizione live. Gli arrangiamenti sono piuttosto convenzionali ma, nonostante non sia una sorpresa, lo spettacolo è ascoltare Dylan crooner per caso e viene da ridere a pensare alla sua leggendaria cena con Frank Sinatra, l'uomo che ha fissato per sempre il canone interpretativo di questi capolavori. Che cosa avrebbe pensato di queste performance il vecchio Frank?
Che cosa gli avrebbe detto tra un whisky e un altro? Il repertorio è straordinario e ovviamente fa effetto ascoltare la voce rugosa di Dylan che borbotta le parole di "Stormy Weather", "My One and Only Love", "As Time Goes By", "How Deep Is The Ocean", "These Foolish Things", "You Go To My Head", "Stardust" senza minimamente curarsi delle regole dello swing e, figuriamoci, del confronto con i giganti che li hanno interpretati prima di lui. Un artista normale avrebbe usato come una chicca, un divertissement, uno dei tanti grandi strandard compresi nella trilogia. Dylan invece ha inciso tre album, è stato candidato al Grammy ed è finito pure in classifica. Anche questo può permetterselo solo lui. (ANSA).