(ANSA) - ROMA, 22 APR - Basta con l'idea della cultura come accessorio, "come valore aggiunto del turismo". Per ripartire davvero l'Italia "ha bisogno anche di ripensarsi". E di farlo cominciando dai suoi musei e dalle sue città, dai monumenti, i parchi archeologici, gli archivi, le biblioteche, "che sono la spina dorsale di questo Paese ma non sono percepiti come tale".
Prende voce dall'Egizio di Torino e dal suo direttore Christian Greco l'urlo dei musei, che dal 26 aprile potranno finalmente riaprire nelle zone gialle, su prenotazione anche nei weekend.
Ma che dopo un anno e mezzo di pandemia si trovano con le sale vuote e le casse svuotate, punta dell'iceberg di tanti problemi che la pandemia, in fondo, ha solo portato a galla più in fretta.
Una crisi nera, sottolinea in una conversazione con l'ANSA l'egittologo, che chiama a raccolta i colleghi delle altre città e lancia l'idea di un'azione collettiva per chiedere al ministero guidato da Franceschini l'istituzione di "un fondo di finanziamento ordinario, come hanno le università. Da garantire con risorse pubbliche e private per prendersi cura delle collezioni". Perché dalla crisi, ribadisce lo studioso, "si può uscire solo con un patto interistituzionale". Nel suo ragionamento Greco parte dallo scollamento tra gli italiani e il patrimonio: "Solo 26 su 100 dichiarano di aver visitato almeno un museo nell'arco di un anno", sottolinea citando dati Ocse pre Covid, "impossibile anche per noi operatori culturali non chiederci dove abbiamo sbagliato". Un distacco che ora bisogna colmare. Per sopravvivere i musei "devono riuscire a conquistare un posto di rilievo nella società", devono puntare ad essere percepiti "come il luogo in cui è custodita la memoria collettiva e dove si lavora per l'innovazione della società".
La soluzione? Per il direttore dell'Egizio, che su questi temi ha appena scritto un libro con la presidente della Fondazione Evelina Christillin (uscirà a maggio con Einaudi) e che oggi ha raccolto l'assist della presidente del Maxxi Giovanna Melandri e del direttore degli Uffizi Eike Schmidt, la ripresa parte da un patto tra istituzioni, da un lavoro comune, anzi "un'osmosi" con le università e gli enti di ricerca.
"Allargando lo sguardo, condividendo i dati, rendendo i processi più trasparenti - insiste appassionato - si possono trovare progetti comuni capaci di attrarre finanziamenti pubblici e privati". Una cosa è sicura: per preservare l'immenso patrimonio italiano e per farne un asset del futuro, servono "fondi certi e costanti che permettano di intraprendere programmi di innovazione", non ci si può basare sui biglietti venduti, sugli eventi, sulle mostre blockbuster. E l'assistenza dello Stato da sola non basta. La politica però è determinante, perché "mettendo la ricerca al centro delle politiche di sviluppo, si potrà accrescere il valore aggiunto che i musei portano alla società" e a catena "ci saranno più soggetti interessati a sostenere il comparto del mondo culturale" e più occupazione.
Tant'è, non tutto il male viene per nuocere, ragiona, dai limiti imposti dalla pandemia possono arrivare idee vincenti, per esempio per ripensare ai musei come luoghi di formazione: "Per gli studenti e per i loro professori ma non solo". Cita esempi virtuosi da tutto il mondo, il caso dell'Olanda dove i ragazzi hanno fatto scuola nelle sale dei musei e in quelle da concerto dove "hanno studiato a contatto con i professori d'orchestra". Mentre il blasonato Rijksmusem, sempre ad Amsterdam, è diventato un luogo di formazione culturale per la classe politica. "Nessuno è tuttologo, la formazione serve a tutti", ribadisce. Basta pensare al museo "come un posto dove andare in gita. Nelle nostre sale si scopre il mondo, si capisce la storia, all''Egizio si potrebbero studiare la matematica e la fotografia, la storia e l'arte, la chimica e la fisica ".
Siamo ancora in tempo per farlo, dice, "come dovremmo usare questi mesi per portare i ragazzi a studiare nelle nostre sale, a scoprire 'dal vivo' con passeggiate a distanza di sicurezza il patrimonio delle nostre città". Per guardare al futuro, insomma "serve cambiare approccio".
L'archeologia , per esempio, "è fondamentale per la transizione green alla quale guarda oggi il governo Draghi, " ma dovrebbe essere materia di insegnamento dalle elementari con lezioni sul campo, solo così si può cambiare anche l'atteggiamento degli adulti". I musei potrebbero avere un ruolo fondamentale in questo cambiamento, aiutando a formare le nuove generazioni con un modello di didattica nuovo "che sappia far dialogare la cultura materiale con quella immateriale", che insegni a comprendere in uno sviluppo diacronico i cambiamenti della società, che aiuti a leggere il paesaggio e a trovare soluzioni per preservarlo. "La rinascita della cultura, ma anche la ripresa del Paese, partono da qui". (ANSA).