Non aveva paura della malattia Catherine Spaak e della sua fragilità negli ultimi anni aveva fatto quasi una bandiera.Per dire a voce alta che del proprio corpo non bisogna vergognarsi, anche quando è ferito. Così aveva fatto qualche anno fa dopo un’emorragia cerebrale e così ha fatto negli ultimi mesi, pur serbando un silenzioso riserbo sulla sua vita personale e sull’aggravarsi delle sue condizioni. Facile vedere in questo atteggiamento il segno della sua formazione: bambina figlia di artisti che si affermavano senza mai dare scandali, nipote di un primo ministro belga e di una fiera partigiana che Israele avrebbe riconosciuta tra i Giusti delle nazioni per il coraggio con cui salvò in silenzio centinaia di ebrei dalla furia nazista.
Catherine era nata in Francia, a Boulogne-Billancourt nella regione parigina il 3 aprile1945 a pochi mesi dalla fine della guerra, ma era poi tornata coi suoi a Bruxelles dove la madre recitava e il padre scriveva sceneggiature. Una vera famiglia d’artisti come prova anche la carriera di sua sorella Agnès, di un anno più grande e presto attratta dal palcoscenico, poi dai set cinematografici e infine affermatasi come fotografa. Catherine invece approdò al cinema quasi per caso, appena quattordicenne, quando sua madre accettò per lei la proposta di Jacques Becker che la volle per un piccolo ruolo ne “Il buco” (1959) dopo averla notata nel cortometraggio “L’inverno” di Jacques Gautier.
Indipendente, ribelle, figlia di una generazione che sentiva fremere il battito del tempo nuovo, la ragazza parte per l’Italia e si ritrova quasi per caso sul set di Alberto Lattuada, indefesso scopritore di nuovi talenti con una predilezione per le”fanciulle in fiore”. Spaak non sa che il suo primo film “italiano” (anche se nello stesso anno ha anche una particina ne”Il carro armato dell’8 settembre” di Gianni Puccini) è destinato a cambiarle la vita: “I dolci inganni” è infatti un vero successo generazionale con la sua adolescente Francesca innamorata di un architetto molto più grande. Nel film palpitano l’insicurezza e la sfrontatezza di una gioventù che ha fame di vita, vuole rompere gli schemi, non si adatta più alla morale tradizionale pur cercando sentimenti puri ed esperienze che fanno crescere. Due anni dopo, con “La voglia matta” di Luciano Salce e “Il sorpasso” di Dino Risi, Catherine Spaak diventa la giovane diva degli anni Sessanta. Nel film di Salce si ripete il cliché della ragazzina che fa perdere la testa a un maturo quarantenne (Ugo Tognazzi); in quello di Risi è la bionda e angelica Lilly, figlia di Vittorio Gassman e fidanzata del disincantato Biby (un già maturo Claudio Gora). Col suo improbabile copricostume a righe azzurre, i capelli a frangetta,il sorriso malizioso eppure segretamente ingenuo, Catherine Spaak si conferma un’icona e un modello per le sue coetanee, tanto da dettare la moda e da essere subito chiamata per personaggi simili, fotografia di un’Italia del benessere che cerca svago e passione, ribellione e sicurezza in modo ancora confuso ma sempre più determinato.
Col suo italiano via via più sciolto (ma al cinema è ancora doppiata (da Maria Pia Di Meo, Melina Martello, Adriana Asti), l’inconfondibile accento esotico, uno sguardo fiero e involontariamente malizioso, la nuova stella piace ai registi: da Damiani (“La noia”) a Pietrangeli (“La parmigiana”), da Comencini (“La bugiarda”) al suo connazionale Vadim (“La ronde”). Insieme a Stefania Sandrelli e Claudia Cardinale è il volto degli anni ‘60 e viene adottata come “la francese d’Italia” anche dalla discografia, tanto da incidere con successo per Ricordi la versione nazionale di “Tous les garçons” di Françoise Hardy e poi “L’esercito del surf”, un successo che marca l’estate del’64. Nel 1966 Mario Monicelli cambia la sua immagine con un altro trionfo al botteghino: “L’armata Brancaleone” in cui fa coppia con l’amico e mentore Vittorio Gassman vestendo i panni virginali dell’illibata Matelda. Per Catherine Spaak potrebbe essere l’inizio di una nuova carriera, ma alcune sortite internazionali come”Intrighi al Grand Hotel” di Richard Quine non la soddisfano e altre esperienze italiane (da “il gatto a nove code” di Dario Argento e “La via dei babbuini” di Luigi Magni) la mostrano attrice ormai esperta ma definitivamente lontana dal mito giovanile.
Per tutti i vent’anni successivi tornerà con regolare frequenza sullo schermo, eppure il suo talento da semplice interprete le sta stretto. Scopre la televisione e si accorge che la sua arguzia, schiettezza, sicurezza da donna indipendente e moderna fanno breccia nella grande platea di un piccolo schermo che a sua volta si sta rinnovando. Fa le sue prime prove a Canale 5 vestendo i panni della conduttrice nel “Forum” col giudice Santi Licheri; poi approva alla Raitre di Angelo Guglielmi come autrice e intervistatrice di “Harem”. Si tratta di un talk show originale e ben distante dalla tv urlata e rissosa che va di moda in quel tempo:il suo è un salotto di buone maniere e sincere confessioni in cui la donna è protagonista assoluta. Il successo durerà immutato per quasi 15 anni e ha visto sfilare sulla poltrona dell’ospite grandi dive e donne semplici, creatrici di stile e imprenditrici di successo,un autentico affresco dell’altra metà del cielo. A Catherine ogni ospite ha affidato, quasi senza accorgersene, la parte più segreta di sé, in un esercizio solo apparentemente mondano. In realtà quasi una seduta psicanalitica avvolta dal sorriso e dalla complicità della conduttrice.
Intanto Spaak si provava a teatro, portando in scena i suoi testi (“Storie parallele” e “Racconti dal faro”), appariva in serie tv di grande ascolto “E non se ne vogliono andare”, “Affari di famiglia”) recitava nell’unica regia dell’amica Monica Vitti (“Scandalo segreto”), per poi scegliere,con passione, giovani registi di talento come Fabrizio Giordani (“Promessa d’amore”), Carlo Virzì (“I più grandi di tutti”) fino al bellissimo “La vacanza” di Enrico Iannaccone che nel 2019 sarebbe stata la sua ultima apparizione. E’ bellissima e intensa nel ruolo di una ex-magistrata colpita dai primi segni dell’Alzheimer e capace di dividere il suo tormento segreto con un giovanissimo Valerio. C’è molto della donna Catherine Spaak in questa severa giudice che rincorre i frammenti del suo passato: c’è la sua bellezza, appena graffiata dagli anni, una solitudine curata con amore (nonostante quattro mariti tra cui il malinconico Fabrizio Capucci, l’esuberante Johnny Dorelli, l’architetto Daniel Rey e il marinaio Vladimiro Tuselli), l’affetto per i ragazzi, come i due amatissimi figli Sabrina (da cui è stata divisa dopo un dolorosissimo divorzio e dopo l'arresto a Bardonecchia dell'attrice, fuggita con la piccola) e Gabriele (cresciuto insieme a Dorelli).
Amava le piante, Catherine Spaak e diceva che il suo momento più bello della giornata era accompagnato dal canto degli uccelli al mattino; guardava alla natura come un prodigio “di cui dovremmo essere grati ogni giorno”, sapeva sorridere di sé e del mondo senza rimpianti. Almeno in apparenza. Oggi se ne è andata zitta zitta e ci sembra che abbia voluto lasciarci con quel suo sorriso eterno, un semplice ammiccamento di ciglia, uno sguardo complice, un saluto sussurrato a mezza voce. Con lei se ne va la giovinezza di una generazione.
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