Nonostante i 'soliti' lustrini del red carpet e la folla tornata simile a quella dei bei tempi andati sulla Croisette, la guerra nessuno pensava di lasciarla fuori del festival. Lo ha promesso il presidente della giuria Vincent Lindon, assicurando una edizione "dignitosa e rispettosa di questi tempi di guerra" e ribadito l'attore e attivista Forest Whitaker ritirando la Palma d'oro onoraria, sottolineando che "i registi ci aiutano a dare un senso a questo mondo". Ma quando sul finire della cerimonia di apertura del 75/o festival di Cannes l'attrice Virginie Efira che ha condotto la serata ha annunciato a sorpresa il collegamento con il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky, l'impatto è stato potente e le parole della persona che si sta spendendo in tutte le occasioni pubbliche possibili per trovare solidarietà e appoggio fattivo alla resistenza contro la Russia, hanno dato una indiscutibile scossa alla platea elegante del Grand Theatre Lumiere.
Zelensky non ha parlato solo in generale delle sofferenze del suo popolo, delle tragedie in corso a Mariupol con l'acciaieria Azovstal, ma si è rivolto proprio al mondo del cinema, ai cineasti e li ha chiamati in causa direttamente, anzi alle armi. Ha citato il regista Mantas Kvedaravicius, morto in Ucraina e il cui documentario Mariupolis 2 è stato terminato dalla compagna Hanna Bilobrova e che sarà presentato al festival in una proiezione speciale nei prossimi giorni a dimostrazione, ha detto, "che l'inferno è l'inferno". Ma soprattutto ha chiesto al cinema di "non restare muto". "L'odio alla fine scomparirà e i dittatori moriranno. Siamo in guerra per la libertà", ha detto Zelensky citando Il Grande Dittatore in cui si parodiava Hitler, accolto da una standing ovation appena iniziato il collegamento via satellite da Kiev. "Serve un nuovo Chaplin che dimostri che il cinema di oggi non è muto. Noi continueremo a lottare, perché non abbiamo altra scelta e sono convinto che il dittatore perderà. Ma il cinema starà zitto o parlerà? Il cinema può stare fuori da questo?".
Zelensky si è rifatto ancora alle evocazioni cinematografiche "Mi piace l'odore del napalm al mattino", ha detto citando Apocalypse Now. Prima del collegamento con Kiev ci aveva pensato il discorso forte, al solito empatico, di Vincent Lindon che quest'anno presiede la giuria (con Jasmine Trinca giurato italiano) che assegnerà la Palma d'oro il 28 maggio, a far capire, se ce ne fosse bisogno, quanto l'apparenza glamour di Cannes, con i suoi rituali di red carpet, moda, selfie, apparizioni di star, sia stata 'bucata' dalla tragedia reale della guerra. "I tormenti del mondo, che sanguina, soffre, brucia... in Ucraina, ma anche nelle dimenticate guerre nello Yemen e nel Darfur, mi tormentano la coscienza", ha detto Lindon ricordando che il festival di Cannes "fu fondato per reazione al fascismo". Forest Whitaker, cui durante la cerimonia è stata tributata una lunghissima standing ovation che lo ha persino imbarazzato, ricevendo la Palma d'oro onoraria per una carriera cominciata con Bird di Clint Eastwood e proseguita con tanti film dal Colore dei Soldi di Scorsese, a L'ultimo re di Scozia per citarne solo pochi (il prossimo è Megalopolis diretto da Francis Ford Coppola che si girerà ad agosto), non era stato meno empatico.
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