Un film di fantascienza, un film sull'infanzia, un film sull'amicizia, un film su una famiglia disfunzionale, un film sull'accoglienza, un film sulla solitudine: quarant'anni dopo ET - L'extraterrestre è ancora tutto questo. Ma forse, per definirlo, è sufficiente la dichiarazione del suo autore, valida almeno fino a poco fa (cioè fino all'uscita di The Fabelmans): "Il mio film più personale insieme a Schindler's list.
L'insonne magia del piccolo, mostruoso e tenero alieno, che si traveste, gioca, rutta dopo aver bevuto Coca Cola e vuole telefonare a casa, è rimasta intatta. E il motivo più profondo lo spiegava forse già la sua frase di lancio e oggi potrebbero illustrarlo gli psicologi: "E' spaventato, è solo. E' lontano anni luce da casa".
Forse il motivo per cui ET ci appassiona e ci appartiene ancora (oltre alla voce roca, nella realtà di una anziana fumatrice, gli occhioni sovradimensionati da cucciolo, l'istinto di protezione che genera perché incompreso) è la paura, eterna e profonda, di essere abbandonati.
Anche così potrebbero spiegarsi i record di incassi (un miliardo e 400 milioni di dollari, superato undici anni dopo da un altro film di Spielberg, Jurassic park) e i riconoscimenti come la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e l'inserimento al 24mo posto della classifica dei migliori 100 film Usa da parte dell'American Film Institute.
Il tutto per quella che di recente Wired ha definito così: "La storia di un bambino solo e triste che nasconde quello che è sostanzialmente un clandestino spaziale".