(Di Silvia Lambertucci)
(ANSA) - PAESTUM, 15 APR - Il basamento in pietra con i
gradini d'accesso e la delimitazione della cella che ospitava la
divinità, le decorazioni in terracotta colorata del tetto con i
gocciolatoi a forma di leone, una straordinaria gorgone, una
commovente Afrodite. Ma anche sette stupefacenti teste di toro,
l'altare con la pietra scanalata per raccogliere i liquidi dei
sacrifici e centinaia di ex voto tra cui spiccano le immagini di
un eros a cavallo del delfino che la fantasia potrebbe rimandare
al mitico Poseidon, il dio che ha dato il nome alla città. A
Paestum stanno rivelando grandi sorprese i lavori per riportare
alla luce il santuario scoperto nel 2019 lungo le mura della
città antica. Uno scavo, anticipa all'ANSA la direttrice del
parco archeologico Tiziana D'Angelo, che promette di "cambiare
la storia conosciuta dell'antica Poseidonia". Quasi come una
finestra aperta su un frammento lungo 500 anni della vita della
città che i greci di Sibari fondarono nel 600 a.C e che poi
passò sotto i lucani per diventare alla fine una colonia di
Roma. Davvero un contesto unico che "accende una luce molto
interessante sulla vita religiosa antica", applaude dal
ministero della cultura il dg musei Massimo Osanna ricordando
che le ricerche archeologiche fatte a Paestum negli anni '50
intorno ai templi maggiori non furono scientificamente
documentate.
Avviati nel 2020 e subito bloccati dalla pandemia, gli scavi
sono ripresi da qualche mese: "Quello che oggi ci troviamo
davanti è il momento in cui il santuario, per motivi ancora
tutti da chiarire, viene abbandonato, tra la fine del II e
l'inizio del I sec. a C", premette D'Angelo. L'analisi delle
decorazioni fittili ha permesso di datarne la fondazione nel
primo quarto del V secolo a C., quando nella colonia greca erano
già stati costruiti alcuni dei più importanti edifici
monumentali arrivati fino a noi, il tempio di Hera, edificato
tra il 560 e il 520 a.C., e quello di Atena, che si fa risalire
al 500 a.C. Il tempio di Nettuno venne completato invece un po'
più tardi, nel 460 a.C., dopo una lunga gestazione. Di
dimensioni molto contenute - misura 15,60 metri per 7,50 - con 4
colonne sul fronte e 7 sui fianchi, il tempietto è come gli
altri in stile dorico, ma si distingue per la purezza delle
forme. "E' il più piccolo tempio periptero dorico che conosciamo
prima dell'età ellenistica, il primo edificio che a Paestum
esprime pienamente il canone dorico", spiega Gabriel
Zuchtriegel, l'ex direttore di Paestum oggi alla guida di Pompei
che ha appena dato alle stampe un corposo studio
sull'architettura dorica. "Quasi un modello in piccolo del
grande tempio di Nettuno", che allora appunto doveva essere in
costruzione, "una sorta di missing link tra il VI e il V secolo
a.C.". Molto importante, quindi, anche perché in qualche modo
dimostra l'autonomia artistica e culturale della comunità e
sconfessa chi ha sempre creduto che nelle colonie ci si
limitasse a copiare le produzioni della madrepatria.
Straordinaria però è anche la distesa di oggetti ritrovati
nello spazio che separa il fronte dell'edificio dall'altare,
eretto come di regola all'esterno: statuette in terracotta con i
volti degli offerenti o quelli delle divinità, addirittura 15
quelle con il piccolo eros a cavallo del delfino, templi e
altari in miniatura. Piccoli capolavori di artigianato che si
aggiungono alle sette teste di toro ritrovate intorno
all'altare, forse "oggetti di scena" a disposizione di chi
amministrava il culto. E che sembrano essere stati poggiati in
terra con devozione, "come in un rito di chiusura" ragiona
D'Angelo, messo in atto quando il santuario, che pure continuò
ad essere frequentato anche in epoca lucana e poi dal 273 a.C.
con l'arrivo dei romani, cadde in disuso. "Ogni giorno una
sorpresa", sorride la direttrice attorniata dalla squadra di
archeologi coordinata da Francesco Mele. Per capire di più,
certo, ci vorrà tempo, serviranno studi, restauri, analisi di
laboratorio. Intanto si procede con le ricerche per documentare
ogni periodo di vita del tempio fino ad arrivare al momento
della sua costruzione, cercando anche di capire la dinamica che
ha portato una parte delle mura a collassare sul retro
dell'edificio. Gli elementi di forte interesse "sono tanti", si
appassiona D'Angelo. Come la firma - proprio su una delle
statuette col delfino- degli Avili, "una famiglia di ceramisti
di origine laziale, nota anche a Delo, la cui presenza qui a
Paestum non era mai stata documentata". O come l'ubicazione
particolarissima di questo santuario, costruito nella città, sì,
ma lontano dal centro e dagli altri templi, giusto a ridosso
delle mura. Vicinissimo al mare, sul quale praticamente si
affacciava: "Le navi che passavano se lo trovavano di fronte",
fa notare. Il pensiero va agli amorini sul delfino e a una
moneta romana del III sec.a.C che su un lato aveva proprio Eros
a cavallo del delfino e sull'altro Poseidon. Che sia proprio
questo il tempio intitolato al dio che ha dato nome alla città?
D'Angelo scuote la testa: "E' ancora presto per dirlo, ma
l'ipotesi è estremamente interessante. "Solo una suggestione,
quindi. In attesa che gli scavi accendano nuove luci sulla
storia. (ANSA).
>>>ANSA/Eros e delfini, nuove scoperte nel tempietto di Paestum
La direttrice D'Angelo, "cambierà la storia della città"