Cultura

L'"identità culturale" di Giuli, pluralità e dialogo

Il ministro filosofo tra periferie, Olivetti e apocalittismo

Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli

Redazione Ansa

   Alessandro Giuli rivendica continuità nei confronti dell'operato del suo predecessore alla guida del ministero della Cultura ma il suo manifesto di politica culturale per la nuova Italia emergono evidenti segni di diversità, con un'impronta aperta al dialogo soprattutto nei confronti di quelle realtà fino ad oggi relegate tra le "casematte" della sinistra.
   
"Da quando questo governo è in carica si è discusso di una categoria fondamentale: il concetto di identità. Questa parola non deve essere vista come elemento di chiusura ma al contrario deve essere vista come elemento di dialogo: noi vogliamo declinarla nel senso di una identità plurale, capace di coniugare in sé l'altro, in una relazione rispettosa delle differenze" chiarisce Alessandro Giuli riferendo in Parlamento sulle linee programmatiche del suo ministero.

   "Ogni identità contiene elementi specifici e noi dobbiamo aiutare la conservazione e la promozione di questa pluralità" assicura il ministro che nel suo manifesto di insediamento mostra un suo Pantheon che spazia da Hegel ("La filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero") a Olivetti, Mattei e Portoghesi, e che cita Pitagora, Dante, Petrarca, Botticelli, Verdi, insieme con Leonardo da Vinci e Galilei, Torricelli, Volta, Fermi, Meucci e Marconi ma si ispira anche a Luciano Floridi per sottolineare la necessità di evitare contrapposizioni tra cultura umanistica e scientifica.

    Con lo stesso atteggiamento dialogante conferma la riforma del tax credit al cinema, pensata, dice per "correggere le storture" del meccanismo di finanziamento e non di certo per "pregiudizi ideologici verso una catena culturale che da lavoro e prestigio all'Italia: tutt'altro".

    E stende un tappeto rosso alle case editrici, in cambio di un impegno a presidiare il territorio con biblioteche. "Rimuovere ogni forma di barriera sociale ed architettonica nei confronti dell'accesso alla lettura attraverso le biblioteche è uno dei principali requisiti dell'azione del governo che ovviamente mira a riqualificare l'editoria e sostenere l'intero comparto" annuncia il ministro con un occhio alla Buchmesse di Francoforte in vista della quale "ci predisponiamo ad intensificare il dialogo e dare risposte concrete a tutto il settore dell'editoria".

    Il suo approccio sociale alla cultura vede poi la centralità delle periferie, quelle cittadine e quelle territoriali, in un modello che coniuga l'esperienza di Caivano al prestito del Narciso di Caravaggio a Merate: "Interessarsi delle periferie senza considerarle tali, è fondamentale nelle linee programmatiche di chi abbia a cuore la cultura come servizio pubblico". Anche la politica sull'accesso ai beni museali viene ridotta all'interno di questa visione: se i musei gratis non sono alla portata delle casse dello Stato la dialettica tra gratuità e profitto si può ricomporre creando un "sistema di redistribuzione sociale degli utili", come nel caso del Pantheon, su cui Sangiuliano ha imposto un ticket di ingresso, "lavoreremo alla destinazione dei soldi ricavati dall'introduzione del biglietto come se fosse una tassa di scopo".

    Parole che fanno saltare sulla sedia l'opposizione. Il ministro "vuole tassare i cittadini che vanno al museo. Ai tagli preannunciati da Giorgetti che peseranno sul ministero della cultura adesso spunta anche una nuova tassazione. Non ci sembra un buon inizio" lo accoglie la capogruppo democratica in commissione Cultura alla Camera, Irene Manzi. "Cambia il ministro, cambia la prosa ma non cambia la sostanza.

    Nell'audizione sono state poche se non pochissime le linee di discontinuità con il suo disastroso predecessore Sangiuliano" le fa eco Elisabetta Piccolotti di Alleanza Verdi Sinistra. E non sfugge ai parlamentari la parte del discorso definita dallo stesso ministro "un po' teoretica" e dove citando indirettamente Hegel, Giuli si dilunga sulla "quarta rivoluzione epocale della storia delineante una ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell'infosfera globale" e richiama sui rischi della "ipertecnologicizzazione e, per converso, dell'apocalittismo difensivo". "Un performer più che un ministro" lo bollano i dem.
 
   Anche i 5 Stelle lamentano di aver "dovuto assistere ad una saccente disquisizione filosofica in cui ha mostrato una visione preoccupante di quello che dovrà fare il suo ministero".
    Sostiene il deputato M5S Gaetano Amato: ''forse pensava di essere ancora all'università a dare un esame, ma la sua audizione è stata davvero una supercazzola assurda".

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