"Viviamo in un assoluto presente: se i codici del passato non esistono più, dobbiamo chiederci in che modo la vita può dare testimonianza di sé". Non è mai un mero atto estetico ma sempre uno strumento di conoscenza per decifrare l'evoluzione della realtà la pittura per Ennio Calabria, oggi protagonista, a 30 anni dall'ultima antologica, di una grande mostra allestita a Roma a Palazzo Cipolla dal 20 novembre al 27 gennaio che testimonia tutto il suo percorso di "pittore filosofo".
Intitolata "Ennio Calabria. Verso il tempo dell'essere. Opere 1958-2018" e a cura di Gabriele Simongini, l'esposizione è promossa da Fondazione Terzo Pilastro e presenta al pubblico circa 80 lavori (alcuni anche realizzati nel 2018), tra quadri, pastelli e manifesti, nei quali emergono pensiero, forza immaginifica, vitalità e inquietudini del maestro. "Questa è la mia unica e ultima possibilità comunicativa. Una mostra così non avrei neanche potuta sognarla", afferma questa mattina l'artista, nato a Tripoli nel 1937, per anni colpevolmente "dimenticato" da gallerie e spazi museali. L'antologica, fortemente voluta da Emmanuele F.M. Emanuele, porta dunque in primo piano il flusso ininterrotto della riflessione di un pittore complesso come Calabria, sempre coerente con se stesso e pronto a interrogarsi sul significato della vita e sul destino dell'uomo. Se a un primo sguardo sono la forza del colore e la potenza del gesto pittorico a catturare l'attenzione, il figurativismo visionario di Calabria fa emergere chiaramente l'urgenza dell'artista di provare a spiegare i cambiamenti della società con una pittura dall'incontestabile valore sociale. "La pittura capisce prima di me": è una delle sue frasi scritte sulle pareti per permettere al visitatore, insieme alle didascalie delle opere, di seguire un percorso a ritroso che esplora sia il tempo interiore di Calabria e sia i principali fatti della storia del nostro Paese.
Dalla politica alla religione, dai temi biografici all'invasione della tecnologia nelle nostre vite, dall'entusiasmo del passato all'Italia frastornata e smarrita di oggi, dall'intensità dei ritratti (e degli autoritratti) all'incisività dei manifesti, in ogni opera c'è il peso della sua testimonianza, del suo continuo voler essere portavoce non solo dei segnali più evidenti della trasformazione dell'uomo ma anche delle cause e degli effetti meno visibili che sono alla base di essa. Tutti elementi che rappresentano la forza stessa del suo modo di dipingere, di fronte al quale è naturale per chi guarda porsi domande. "Dal cogito ergo sum siamo passati al sum ergo cogito: ormai esiste solo una cultura fisiologizzata, legata a quello che siamo singolarmente. Prima si avevano riferimenti che erano fatti di certezze o di contestazioni delle certezze in cui l'io mediava, ora invece il singolo diventa voce della storia", spiega l'artista di fronte alle sue opere, "la dimensione antropomorfa è attaccata da un processo di robotizzazione: in questo momento è in atto una modificazione della realtà, mancano i simboli e le dimensioni sovrastrutturali". "Il sé diventa l'unica chiave interpretativa, perché le cose sono relativizzate in tempo reale e sono morte le ideologie progettuali già da tempo", prosegue Calabria, "ora lo sforzo è riadattare la cultura ai nuovi schemi. Oggi non ci può essere contemporaneità senza la certificazione del vuoto".
Leggi l'articolo completo su ANSA.it