Una Maria Maddalena dai capelli scuri, la scollatura quadrata, le mani dalle belle dita affusolate raccolte, occhi penetranti più che penitenti. Il volto, bellissimo, è quello di Chiara Fancelli, moglie del Perugino. La mano però, secondo un gruppo studiosi, è di Raffaello Sanzio, allievo di Perugino che ha poi superato il maestro. Il dipinto, un olio su tavola di pioppo, datato 1504, 46 cm per 34 cm, appartenente ad una collezione privata all'estero, è al centro di uno studio che sarà pubblicato la prossima settimana sulla rivista scientifica "Open Science, Art and Science" con il titolo "La Maddalena di Raffaello ovvero quando l'allievo supera il Maestro". I risultati sono stati anticipati durante una conferenza internazionale a Pergola (Pesaro Urbino) "La Bellezza Ideale-La visione della perfezione di Raffaello Sanzio", a cui hanno partecipato esperti come madre Maria Cecilia Visentin, docente pontificia specializzata in iconografia religiosa dell'ordine dei Servi di Maria; Annalisa Di Maria tra i massimi esperti internazionali di Leonardo da Vinci e del Rinascimento italiano, specializzata nella corrente neoplatonica, e per la parte scientifica, il professore emerito Jean-Charles Pomerol della Sorbona, già rettore dell'Università Pierre e Marie Curie, e Andrea da Montefeltro, ricercatore e scultore. Per loro si tratta "un supremo risultato artistico del Rinascimento italiano", di un capolavoro di Raffaello riscoperto. Di un ritratto della Maddalena esiste una versione (alla Galleria Palatina), autenticata come di mano del Perugino, un'altra a Villa Borghese, di bottega. Ma la versione di Raffaello viene ritenuta di gran lunga superiore, dal punto di vista stilistico e tecnico, per grazia e armonia della composizione e per l'uso dello sfumato che evidenza l'influenza di Leonardo da Vinci sul giovane pittore di Urbino. A sostegno dell'attribuzione a Raffaello c'è l'utilizzo della tecnica dello spolvero, per trasferire il disegno preparatorio (impiegata sempre dall'urbinate, mai da Perugino), individuata da analisi di laboratorio eseguite da A.R.T. & Co, spin off dell'Università di Camerino con sede ad Ascoli Piceno. E poi la presenza di 'pentimenti' e i materiali: una preparazione del supporto con impasto di gesso e colla animale, strati a base di olio e biacca, pigmenti come il verde-grigio, ocre e terre, polvere di vetro e lacche utilizzate per gli smalti, indispensabili nella creazione degli sfumati, tipicamente raffaellesche, pigmenti compatibili con la tavolozza del "divin pittore". Per gli esperti la versione di Raffaello sarebbe precedente a quella di Perugino e sarebbe servita da modello per le altre due. Lo studio analizza anche le proporzioni matematiche usate da Raffaello, "che conosceva la matematica, a differenza di Perugino" spiega Annalisa Di Maria. Secondo lei il quadro rappresenta "una svolta: il pittore di Urbino trovò un suo linguaggio, affrancandosi da quello di Perugino" e superandolo, tanto da essere considerato già all'epoca un maestro. Il dipinto, sempre secondo la studiosa, mette in luce un altro aspetto di cui "non si parla abbastanza: il legame tra Raffaello e Leonardo". I due si incontrarono e frequentarono a Firenze, Sanzio ammirò il Da Vici "al punto di immortalarlo come Platone nella sua Scuola di Atene". Tante analisi, insomma, per spiegare la capacità di "rendere vivo il modello, di farci vedere la sua anima" che accomunava Leonardo e Raffaello. Durante la conferenza, che rientra tra i progetti collaterali della mostra nazionale Arcana-Il Leone del Nuovo Orizzonte, è stato consegnato il premio "Leonardo The Immortal Light" per la sezione Ricerca Culturale al cardinale Gianfranco Ravasi
Sgarbi, non è Raffaello, ma al massimo un prototipo del Perugino
Vittorio Sgarbi, storico dell'arte e sottosegretario alla Cultura, giudica impossibile la notizia della scoperta di un presunto Raffaello. "Nessuna possibilità - taglia corto Sgarbi - che il dipinto propagandato come Raffaello, e annunciato a Pergola, città affettuosa, sia del maestro urbinate. È soltanto uno scoop giornalistico, dal momento che si basa su una conoscenza di pochi trattandosi di un'opera in collezione privata, con la legittima aspirazione del proprietario di possedere un Raffaello". "Già è bizzarra - aggiunge Sgarbi - l'idea di una Maddalena con le sembianze della moglie del Perugino, come è sospetta la pur legittima propensione di alcuni studiosi a pronunciarsi soltanto su grandi nomi: Raffaello, Leonardo, Botticelli. Perugino basta e avanza. L'opera annunciata come Raffaello - dice - è infatti una versione, forse autografa, di un prototipo di Perugino conservato a Palazzo Pitti, di cui si conosce un'altra versione alla Galleria Borghese. Difficile che nel 1504, quando, in contrasto con il suo Maestro nello 'Sposalizio della Vergine' di Caen, Raffaello, con infinita grazia, dipinge il suo mirabile 'Sposalizio', ora a Brera, che è tanto più libero, nuovo e sciolto di quello del maestro, egli si applichi a fare una copia del Perugino, che in quel momento ha già lasciato alle spalle. E altrettanto impossibile - sottolinea - è che il Perugino dipinga una copia di Raffaello. Al massimo, dunque, la nuova versione, di collezione privata, è una replica del Perugino. Di cui verificare l'autografia, rispetto a quella certa delle opere conservate nei musei, e di pubblico dominio". "Il gioco del privato che possiede un'opera 'più' autentica di quella di un museo - conclude Sgarbi - è già stato tentato, per Raffaello, con l'autoritratto giovanile. Poi la febbre è passata. Ma è evidente che la proprietà privata, e la conoscenza dal vivo di soltanto alcuni studiosi, sono pregiudizievoli per il riconoscimento della autografia".
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