In anni nei quali "le donne dovevano essere solo oche giulive, non potevano avere opinioni proprie, non potevano discutere di libri e dovevano adorare i maschi", come ha spiegato in un'intervista all'Unità, la fotografia e il cinema sono diventati strumenti di libertà, indipendenza e riflessione sulle contraddizioni della società per Cecilia Mangini che compie il 31 luglio 90 anni.
Nata nel 1927 a Mola di Bari, da padre pugliese e mamma di Firenze (dove la famiglia si trasferisce quando Cecilia ha sei anni), è la prima donna documentarista in Italia del dopoguerra. Con i suoi film e corti non fiction, è sempre andata oltre censure e stereotipi, ponendo l'obiettivo, ad esempio, sulle ultime tracce di rituali contadini e fede popolare, i ragazzi di periferia, raccontati con Pasolini, la vita in fabbrica ieri e oggi, la condizione della donna tra lavoro e famiglia. Il suo compleanno speciale viene celebrato domani nel Castello Volante di Corigliano D'Otranto (Lecce) da 'XC - Festa d'Estate per Cecilia', una serata di visione delle sue opere organizzata dalla Festa del cinema del reale, mentre a Roma prosegue fino al 10 settembre al Museo arti e tradizioni popolari la mostra con 200 scatti, aperta da fine maggio, 'Cecilia Mangini - Visioni E Passioni - Fotografie 1952-1965', versione ampliata dell'esposizione che aveva debuttato al Bifest nel 2016 nell'ambito dell'omaggio che le avevano dedicato.
"La fotografia è quella di strada in cui si esce dal proprio nido protetto e si va ad incontrare e esprimere gli altri - ha spiegato la cineasta all'inaugurazione dell'esposizione -. Nelle strade l'umanità vive, si dibatte, soffre. Tutto questo è a disposizione di chiunque abbia una macchina con un obiettivo". A proporle di debuttare nel documentario, nel 1957, è il produttore Fulvio Lucisano, con Ignoti alla città (1958), ispirato a Ragazzi di Vita di Pasolini: la cineasta, per il suo racconto di ragazzi di borgata, dopo aver cercato il numero nell'elenco telefonico, telefona allo scrittore e gli chiede di scrivere un testo per il film. Pasolini, dopo una visita in moviola, accetta. Il corto viene censurato dal ministro Tambroni, con l'accusa di istigazione all'immoralità, ma è l'inizio di una collaborazione tra Pasolini e la regista, che si rinnoverà per Stendalì (Ancora suonano) del 1960, tratto da Morte e pianto rituale di Ernesto De Martino, su un canto sacro funebre in dialetto greco delle donne di Martano, in Salento, e La canta delle marane (1962), dove torna fra i 'ragazzi di vita'.
A fine anni '50 incontra l'uomo della sua vita, che diventa suo marito e compagno d'arte, Lino Del Fra (scomparso nel 1997) con cui realizza, tra gli altri, firmando insieme la regia, All'armi siam fascisti!(del 1960, codiretto anche da Lino Micciché), su antefatti e conseguenze del regime di Mussolini; e da coautrice della sceneggiatura opere come Fata Morgana (1961), Leone d'oro a Venezia, Antonio Gramsci - I giorni del carcere (1977), Pardo d'oro a Locarno, Comizi d'amore '80 (1982) che a vent'anni dal film di Pasolini torna a indagare sul rapporto con il sesso e la famiglia in Italia. Tra le costanti del lavoro di Cecilia Mangini, c'è anche lo sguardo sulla vita in fabbrica, da Essere donne, racconto sulle difficoltà quotidiane delle operaie, a Tommaso (1965), e Brindisi '66, sull'impatto della Monteshell in città.
E fa dialogare, nel suo documentario più recente, che la riporta alla regia dopo circa 40 anni, In viaggio con Cecilia (2013), realizzato con l'amica e allieva Mariangela Barbanente, il passato con il drammatico presente dell'Ilva di Taranto. Per lei infatti "il documentario è una necessità, perché ci mette in condizione di pensare al nostro oggi, di collegarlo al passato e proiettarlo verso il futuro".
Leggi l'articolo completo su ANSA.it