(ANSA) - Quaranta barboni torinesi hanno qualcosa da dire certamente sulla povertà, ma anche su vita, speranza e cose del mondo, compresa la religione nel docu-film 'Al di qua' di Corrado Franco. Facce 'da angeli', le loro, piene di dignità e con tanta voglia di vivere, nonostante tutto l'anno vaghino sotto le gallerie della città sabauda o in dormitori pubblici.
La Passione secondo Giovanni di Johann Sebastian Bach, passi di Rainer Maria Rilke letti da una voce fuori campo e poi, per i tre quarti del film le sole testimonianze, in primo piano, di questi senza casa di ogni nazionalità.
Passano davanti allo schermo le loro parole che raccontano le loro sconfitte, le loro vite cambiate a volte solo in poche ore.
C'è chi, in controtendenza, come Manuel ex militare serbo, parla di un Dio crudele che non esiste: "c'è troppa sofferenza sulla terra per esserci un Dio. Il Dio lo hanno solo quelli che viaggiano in Jeep, 'l'al di qua' è solo inferno".
Ma non è quello che pensano Michelangelo, Cosimo, Davide, Paolo e Rodolfo, solo per citarne alcuni. Quasi tutti credono davvero in qualcosa, alcuni si affidano alla preghiera, a Gesù, di fronte alla richiesta del regista di fare un appello, una preghiera, a chi vogliano. L'impianto cristologico del docu-film che mette in scena gli ultimi, i poveri, non manca di commuovere e stupire e ricorda autori come Pasolini, Bresson e Dreyer.
L'opera, presentata in luglio in Senato suscitando grande interesse nello stesso presidente Pietro Grasso, è stata prodotta da Sherpa Film, ma dietro a un benefattore. Si tratta di Guido Giubergia, presidente di Ersel, ovvero "paradossalmente un uomo di finanza che investe, senza contropartite, in un film che parla di povertà dice il regista.
Da lui infine, infine, una dichiarazione e un monito: "credo che, in fondo in fondo, i barboni sono tutti santi". E ancora: "i barboni siamo noi. Tutti possiamo diventarlo da un momento all'altro".
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In corsa per Academy il docu-film 'Al di qua' di Corrado Franco