Cultura

Venezia: troppi regimi, torna il cinema politico

Da film con pseudonimo su Myanmar alla resilienza siriana

Redazione Ansa

- Fiuta l'aria del tempo, e non è certo sana, e magari è esso stesso vittima di lacci, censure, persecuzioni ma proprio per questo vive una grande stagione di rinascita e di denuncia e alla Mostra del cinema di Venezia (1-11 settembre) si vedrà in tutta la sua dirompente attualità.
E' il cinema politico, il cinema civile che si aggiorna all'oggi tornando ad essere preziosa testimonianza. Oltre al tema delle donne, della condizione femminile, quello della politica è il grande leit motiv di Venezia 78. C'è addirittura SAD FILM, un corto di 12 minuti Fuori Concorso sulla sanguinaria repressione delle proteste contro il golpe in Myanmar, il cui regista è talmente a rischio da celarsi dietro uno pseudonimo, Vasili. E molti altri sono i titoli della selezione ufficiale che rispondono alle caratteristiche di offrire uno sguardo d'autore ma non per questo meno doloroso e sofferto sulle guerre in corso anche quelle nascoste dietro una patina di falsa democrazia.
Il direttore della Mostra Alberto Barbera nel sottolineare l'annata di grandi proposte riflette: "pensavamo con la fine del Secolo breve di aver lasciato alle spalle la barbaria della guerra invece ci ritroviamo di fronte a tanti troppi conflitti.
La libertà, lo vediamo continuamente - dice all'ANSA - è in pericolo in moltissimi paesi e anche in Europa, siamo in un'epoca di regimi liberticidici e chi meglio di un autore di cinema ha la capacità di cogliere questo momento". Ecco allora un percorso, incompleto peraltro, di film civili.
Tra i film del concorso spiccano ON THE JOB: THE MISSING 8 di Erik Matti, sul sistema di corruzione dei mezzi d'informazione nelle Filippine; LEAVE NO TRACES di Jan P. Matuszyński sulle torture delle autorità comuniste nella Polonia del 1983 della protesta di Solidarnosc quando Grzegorz Przemyk, figlio della poetessa dell'opposizione Barbara Sadowska, viene arrestato e malmenato da una pattuglia della polizia, muore dopo due giorni di agonia e il paese scende in piazza, mentre parla all'oggi raccontando i fatti di ieri CAPTAIN VOLKONOGOV ESCAPED di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov sul capitano del servizio di sicurezza nazionale (NKVD) sullo sfondo delle purghe staliniane del 1938 in Unione Sovietica. Sempre in Europa, in Ucraina è ambientato REFLECTION di Valentyn Vasyanovych incentrato sul chirurgo ucraino Serhiy, catturato dalle forze militari russe nella zona di conflitto nell'Ucraina orientale, e mentre è in imprigionato, è esposto a umiliazioni e violenze. Dopo il suo rilascio cerca di trovare uno scopo nella vita ricostruendo il suo rapporto con la figlia e l'ex moglie. Nel fuori concorso TRANCHÉES di Loup Bureau è un documentario di produzione francese sulla guerra di posizione in Ucraina, mentre REPUBLIC OF SILENCE di Diana El Jeiroudi promette brividi di verità nel racconto della regista siriana in esilio in Germania da decenni e con la struggente voglia di recuperare immagini e suoni della sua terra e della sua gente, metà della quale è sparsa in tutto il mondo.
Ad Orizzonti c'è AMIRA del regista egiziano Mohamed Diab, che racconta dei bambini palestinesi concepiti con lo sperma dei padri, fatto uscire clandestinamente dalle carceri dove sono rinchiusi. E poi ancora l'Ucraina in RHINO di Oleg Sentsov, originario della Crimea, condannato a 20 anni di prigione, con l'accusa di aver complottato con atti di terrorismo in seguito all'annessione della Crimea. Scarcerato e trasferito in Ucraina solo nel 2019 è tornato a fare cinema con una pellicola di finzione sulla criminalità definita da Barbera di violenza forte ed esibita.

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