Mai come nel caso di THE POWER OF THE DOG di Jane Campion, in corsa per il Leone d'oro a Venezia, la lunghezza, 125 minuti, ha una sua legittima ragione di essere. Il film con Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons e Kodi Smit-McPhee ha un suo andamento lento, tossico, perché quello che si sta rivelando della storia ha i suoi giusti tempi ed è solo uno dei possibili sviluppi suggeriti dalla trama. Film Netflix, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage (edito in Italia da Neri Pozza), ci porta in Montana, nel 1920 in un post-western. Qui l'introverso allevatore Phil Burbank (Benedict Cumberbatch) incute paura e timore reverenziale a tutti quelli che lo circondano. Quando il mite e più colto fratello George (il grandissimo Jesse Plemons) porta a casa la nuova moglie, la vedova Rose (Kirsten Dunst), con il figlio di lei, Phil non ci sta ad accettare quelli che considera solo degli estranei e li comincia a tormentare in una guerra senza esclusione di colpi. Ma si può dire che se questa è la trama di minima, quello che succede dopo è legato a smottamenti emotivi dei personaggi tanto sorprendenti quanto impossibili da raccontare senza fare spoiler. Ma una cosa è certa, che il figlio di Rose, Peter (il longilineo attore australiano Kodi Smit-McPhee), che compare molto in sordina solo a metà film, alla fine sarà un vero e proprio protagonista. "Sono una persona creativa e non ho fatto una percentuale dei generi del libro di Savage - ha detto al Lido la Campion a chi le chiedeva come si fosse trovata a girare un film altamente maschile -. Ho sempre creduto in questo libro è non sono riuscito a dimenticarlo anche quando l'avevo finito. Ti entra nella psiche".
Alla Settimana della critica MONDOCANE, opera prima di Alessandro Celli con Alessandro Borghi, ambientata in una Taranto postapocalittica e distopica.
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