Cultura

La 'scatola' di ricordi e emozioni dell'11/9

A Toronto Film Festival docu con reazioni a 20 anni distanza

Redazione Ansa

Una scatola, o meglio una cabina video che ha raccolto ricordi, emozioni e traumi di testimoni, sopravvissuti parenti di vittime, soccorritori, volontari, a pochi mesi dagli attacchi dell'11 settembre, ma anche 20 anni dopo. E' il viaggio nato dal progetto dell'artista e attivista Ruth Sergel, trasformato in documentario da David Belton e Bjorn Johnson con Memory Box: Echoes of 9/11 che debutta come evento speciale, in occasione dei 20 anni dai tragici fatti, al Toronto Film Festival. Il luogo sicuro dove decine di persone hanno condiviso il loro vissuto è una cabina video in legno creata ad hoc da Ruth Sergel (una sorta di 'confessionale') nella quale ognuno poteva controllare da solo l'avvio e la fine della registrazione davanti alla videocamera. L'artista newyorchese, dopo la raccolta di testimonianze a inizio 2002 a New York, ha portato la cabina nei mesi successivi anche al Pentagono, dove si schiantò il terzo degli aerei a Shanksville in Pennsylvania, l'area dove cadde lo United 93, il quarto velivolo dirottato, sul quale i passeggeri si rivoltarono contro i dirottatori.
Il potente e a tratti straziante coro composto da Ruth Sergel, reso disponibile online, è stato aggiornato nel documentario, quando possibile, con l'oggi e punteggiato con le indimenticabili immagini amatoriali e professionali girate subito dopo gli attacchi tra la folla. Conosciamo così, fra tanti protagonisti, Joanne, che nel 2001 al momento dell'attacco era nel suo ufficio in una delle Torri all'87/o Piano. La fuga disperata per le scale le ha consentito di uscire pochi minuti prima che le Twin Tower crollassero. La vediamo nel primo video 30enne, e la ritroviamo 50enne nel 2021, in grado di condividere il difficile percorso fatto per superare il trauma. Tra gli altri, c'è Elizabeth, newyorchese diventata mamma poche settimane dopo gli attacchi alle Torri; nel 2002 entra da 20enne nella cabina con la figlia Raegan di pochi mesi in braccio; 20 anni dopo ha la ragazza al fianco: "Hai sempre avuto una grande energia vitale, ci hai portato tanta speranza" le dice la madre.
Il 60enne Wilton, nel 2002, parla del dolore per la perdita del figlio che lavorava in una delle torri al 105/o piano: "Hanno ritrovato solo una parte d'osso.... almeno abbiamo potuto fargli il funerale". Il coreografo Donald Byrd, traumatizzato dall'aver visto le persone che si gettavano dalle Torri, racconta di aver trasformato quello shock nell'impegno attraverso progetti di danza su temi sociali, "per essere di utilità alla comunità". Donn, che lavorava al Pentagono, racconta da quarantenne nel 2002 le fasi nelle quali si rese conto che la moglie Shelley anche lei impiegata nella struttura governativa non era sopravvissuta, e 20 anni dopo l'aver ritrovato uno scopo insieme ai suoi figli, allora ancora piccoli. Da trentenne, nel 2002, il pilota di volo di linea e riservista in marina AJ, pensa al pericolo di una guerra alle porte e vent'anni dopo spiega (pochi mesi prima l'annuncio del ritiro, ndr) come l'essere andato volontario in Afghanistan e aver creato un legame profondo con i colleghi militari afghani l'abbia fatto di nuovo sentire utile. "Ho sempre voluto fare un film sull'11 settembre, ma sembrava non ci fosse altro da dire su quel terribile giorno, finché non ho trovato il sito di Ruth Sergel - spiega il regista Bjorn Johnson -. Ho trovato così una chiave per riraccontare la storia ma con un approccio nuovo: attraverso non quello che le persone hanno visto ma ciò che hanno provato e come hanno affrontato il loro trauma".
Per il coregista David Belton "in un momento nel quale con la pandemia, troviamo ovunque il trauma, il lutto, la perdita il nostro piccolo film potrebbe essere forse uno strumento in grado di aiutare a relazionarsi su come sopravvivere a quel tipo di dolore, anche vedendo come nel tempo si possa elaborare quel lutto e ritrovare persino la gioia". 

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