Non è da tutti compiere 90 anni e lavorare ad ultimare un nuovo film, ma Liliana Cavani, che al traguardo arriva il 12 gennaio, non si può certo definire una donna comune. In compagnia di Clint Eastwood, Edgar Reitz, Giuliano Montaldo tra i registi longevi come lei, cita invece un altro grande, l'83enne Marco Bellocchio. "E' a lui che mi sento vicina, abbiamo fatto - dice in un'intervista all'ANSA - il Centro sperimentale di cinematografia tanti anni fa, lo aveva cominciato come attore, poi passò al corso di regia", ricorda la regista di Carpi che negli anni '70 è stata in cima al cinema d'autore italiano proprio con Bellocchio, con Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini, tutti suoi amici. Non è da tutti stare sul set alla sua età. "Ho desiderato tanto farlo - risponde - e sono grata alla produzione che si è assunta questa responsabilità. Il libro di partenza, L'ordine del tempo dello scienziato-scrittore Carlo Rovelli, mi interessava molto e poi ho avuto attori fantastici - Alessandro Gassmann, Claudia Gerini, Edoardo Leo, Ksenia Rappoport, Valentina Cervi - e il set è stato un piacere immenso". Vita e lavoro insieme, così totalizzante da non desiderare l'addio? "Io vivo sul set, così mi sento a casa. Il set del cinema, ma anche del teatro, dell'opera lirica, della fiction tv o persino della moviola, non mi stanco affatto, il lavoro mi fortifica". E' stata una delle rare registe donne in Italia, in un mondo dominato dagli uomini, come ha resistito? "Non mi sono mai pensata come donna, diciamo che non ho voluto farci caso, quello che volevo fare per l'80 per cento o di più ci sono riuscita. Però non è stato facile, ho avuto sempre difficoltà a trovare finanziamenti: se una donna fa un film e lo sbaglia, difficile che abbia altre possibilità, se sei un uomo e sbagli ci riprovi subito, ma se questo è vero per la mia epoca ora il clima mi sembra un po' cambiato, le registe sono di più anche numericamente e questo è già un riscontro, certo sono sempre oneste e seriose, non sono furbe". In che senso furbe? "Se le donne imparassero a fare film più facili le cose cambierebbero velocemente, invece se non ci complichiamo le cose non siamo contente. Alziamo sempre l'asticella, non puntiamo al 30 ma al 30 e lode e così siamo sempre in affanno, bisognerebbe liberarsi di questa mentalità". Nella sua carriera ad un certo punto è arrivato Francesco, inteso come il santo di Assisi, un suo innegabile colpo di fulmine. "Francesco è il fondamento della nostra società. E' il pensatore numero uno della filosofia della sociologia e solo i francesi lo hanno compreso tra egalité e liberté la fraternité di Francesco. Ho fatto due film e un tv movie su di lui e non me ne distacco ancora. Grazie a Francesco ho conosciuto Benedetto XVI - ricorda - il papa emerito scomparso il 31 dicembre intitolò Deus Caritas Est e chiamò me a presentarla. E' stata una delle gioie più grandi e mi ha permesso di conoscere il pontefice uomo onesto filosofo nel profondo. E prima di lui il mio Francesco aveva fatto piangere Wojtyla e anche Bergoglio mi hanno detto che ha amato il film con Mickey Rourke". E a proposito di Francesco e di registe donne ha visto Chiara di Susanna Nicchiarelli? "Sì e mi è piaciuto, l'ho trovato molto interessante", risponde la regista premiata a Napoli al teatro Mercadante da Terry Gilliam nel gran finale del festival Capri,Hollywood. Milarepa, Il portiere di notte, Al di là del bene e del male, La pelle, Oltre la porta, Il gioco di Ripley... quali sono tra i tanti i suoi film del cuore? "Tutti ovviamente, ma quello che mi piacerebbe venisse riscoperto è I Cannibali, rivisitazione in chiave moderna dell'Antigone di Sofocle, che respirava profondamente l'aria del '68 e comunicava una sensibilità vera sulla ricerca di un mondo più aperto e libero. La Paramount voleva che cambiassi il finale ma io ho rifiutato. Quel film è un simbolo del movimento del Sessantotto". Lei si indigna ancora come in quegli anni? "Caspita se mi indigno. Quello che sta accadendo in Iran, con la repressione delle istanze delle giovani donne mi indigna profondamente. Dobbiamo credere ai cambiamenti portati dalle donne, e ora che noi abbiamo una premier donna dobbiamo farlo con convinzione".
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