Cultura

Pesce, figlio 'edipico' a passo di merengue

Nel dramma noir El Paraiso di Artale in gara a Orizzonti

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 03 SET - Un punto d'appoggio dove 'liberare il proprio 'carico' in una casetta sul litorale romano per i 'muli' (le persone reclutate dai trafficanti per ingerire ovuli di droga, ndr), provenienti dalla Colombia. E' quello che offrono il quasi 40 enne Julio Cesar (Edoardo Pesce) e la madre colombiana, tanto carismatica quanto passionale e incontrollabile (Margarita Rosa De Francisco Baquero), protagonisti di El Paraiso di Enrico Maria Artale, il dramma famigliare, con un tocco di favola nera, dramedy e crime, in gara ad Orizzonti alla Mostra Internazionale del cinema di Venezia, per poi arrivare in sala l'anno prossimo con I Wonder Pictures.
    Un film (prodotto da Ascent Film e Young Films con Rai Cinema) nato "da una conversazione un po' strampalata con Edoardo. Siamo molto amici, e avevamo già fatto un film insieme - spiega il cineasta, qui al secondo lungometraggio e già regista di grandi serie internazionali, come Sanctuary, Romulus, Django e ora al lavoro su Un prophete, tratta dall'omonimo cult di Jacques Audiard -. Lui mi ha raccontato questa suggestione che mi ha molto colpito". Lavorandoci "negli anni l'ho portato altrove. Piano piano il film è diventato sempre più il racconto di una madre e di un figlio, quello che a me premeva". Proprio l'amore apparentemente senza confini tra i due (comprese le serate insieme a ballare il merengue), viene scosso dall'interesse che Julio Cesar prova per la nuova arrivata dalla Colombia, Ines (Maria Del Rosario Barreto Escobar), che la madre considera da subito una nemica.
    "La madre ha cresciuto Julio Cesar da sola e l'ha plasmato secondo le sue esigenze - spiega Artale - è responsabile per quello che è. Lui vive questo rapporto con una sofferenza e frustrazione interiore, ma è qualcosa che gli riempie la vita.
    Quella tra loro non è una gabbia, è una simbiosi. Lui è un po' intrappolato ma è anche dipendente, accudente e trova la sua pienezza esistenziale in questo rapporto. Volevo sottrarre questo legame al giudizio, a etichette di figlio succube o di madre arpia. Volevo che anche in un rapporto che ha le sue violenze, ci fosse una bellezza, una ricchezza emotiva, una poesia" (ANSA).
   

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