Cultura

Ken Loach, nel mondo diviso il dialogo l'unica speranza

Dal 16 novembre in sala The Old Oak del maestro inglese

Redazione Ansa

In un mondo diviso come quello in cui stiamo vivendo, accentuato nell'ultimo mese dalla guerra tra Israele e Hamas, dal nuovo film di Ken Loach, The Old Oak, in sala dal 16 novembre con Lucky Red dopo gli applausi al Festival di Cannes, arriva un anelito di speranza: il futuro dell'umanità può essere solo nell'accoglienza, nella compassione, nella solidarietà, nel dialogo e nella reciproca conoscenza. Parole che suonano sempre rivoluzionarie, queste del rigoroso regista del cinema del reale, che ci mostra da sempre i drammi sociali offrendoci con storie quotidiane, semplici, emozionanti una lettura profonda del contemporaneo. L'inglese Loach, 87 anni compiuti a giugno, ne è così convinto da non lasciar mai soli i suoi film una volta finiti e nonostante l'età si mette in viaggio per accompagnare The Old Oak in Italia e partecipare a Roma il 14-15-16 a proiezioni evento con Q&A finale.
    Scritto da Paul Laverty, il suo fedelissimo sceneggiatore, mezzo scozzese mezzo irlandese, The Old Oak è la storia di un pub di uno sperduto villaggio nel nord est dell'Inghilterra, in cui arrivano rifugiati siriani cui il governo ha concesso il visto. Gli abitanti, in crisi economica per il declino di un posto sviluppato intorno ad una miniera ora chiusa, li vedono come usurpatori, nemici, diversi che, anziché tornare al loro paese, sono lì aiutati dalle ong e non importa se sono bambini, donne sole, anziani che hanno vissuto le violenze del regime di Assad, da quelle parti nel Regno Unito è guerra di povertà e di ignoranza. Una giovane siriana, Yara (Ebla Mari), l'unica a conoscere un po' di inglese, aspirante fotografa, diventa la molla del cambiamento trovando sponda con il proprietario del pub, un loser, un perdente, Tj Ballantyne (Dave Turner).
    "Solidarietà, forza, resistenza sono le parole del nostro tempo - dice Loach riferendosi allo stendardo inglese-siriano che diventa una sorta di manifesto della storia - ma ce ne sono anche altre che rievocano la vecchia tradizione sindacalista: aiutare, educare, organizzare, l'ultima è la più importante perché si può vincere solo se c'è coesione su un programma, se si lascia un vuoto è lì che si inserisce la destra come abbiamo visto in Ungheria, Grecia, Italia". Loach fa esempi concreti, come il problema del caro alloggi e della sanità pubblica al crollo, "se non c'è un programma chiaro e concreto non si riuscirà ad avere una rappresentanza politica che possa opporsi alla destra". E Laverty aggiunge: "Ci sono scelte che dobbiamo fare e presto per neutralizzare altre tre parole del nostro tempo: sfruttamento, odio, capri espiatori che sono quelle imposte dai potenti. Dovresti cercare di capire chi è il tuo nemico. Cosa sono i migranti oggi se non dei capri espiatori? La propaganda contro 'l'invasione' non fa che alimentare le posizioni fasciste, ma invece dovremmo andare alle radici del problema".
    Sui migranti Loach è sempre critico con la comunità europea, "Italia e Grecia hanno ragione, il peso di tutto questo non può essere portato solo da loro". Per Loach, marxista all'antica, e' "lo strumento sindacale quello che ancora oggi può rappresentare la classe sociale dei lavoratori, costruire comunita' e dunque fratellanza". Senza rivelare troppo di The Old Oak, la speranza sta nelle stesse storie dei migranti - nel film, tranne la giovane Yara interpretata da Ebla Mari, gli attori non sono professionisti ma veri rifugiati - "Quando ascolti da dove vengono, che cosa hanno visto i loro occhi - dice Laverty che è stato sulla rotta balcanica per un po' di tempo per incontrarli - quali indicibili violenze hanno subito o che carestie hanno vissuto, capisci che se non vogliamo lasciare i razzisti in Italia come altrove a parlare, se non vogliamo che ciò avvenga ancora, c'è un solo modo: avere un piano chiaro di solidarietà, loro stessi ce lo chiedono, non lasciano che la disperazione prevalga". Un altro mondo è possibile, ci dice ancora e sempre Ken Loach, "alcune persone - conclude citando la Yara del film - pensano che la parola speranza sia oscena, è vero, ma deve esserci, è una questione politica e non possiamo che costruirla". (ANSA).
   
   

Leggi l'articolo completo su ANSA.it