Cultura

Canet, ecco Luigi XVI e Maria Antonietta senza maschere

Locarno è aperto in Piazza Grande dal film di Jodice con Laurent

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 07 AGO - Vediamo "Luigi XVI e Maria Antonietta nel loro percorso dall'essere considerati dei al perdere la maschera, al diventare esseri umani e scoprire come esserlo".
    Così Gullaume Canet, interprete del monarca a fianco di Melanie Laurent nei panni di Maria Antonietta descrive i due personaggi in The Déluge, il film di Gianluca Jodice d'apertura fuori concorso in Piazza Grande del Locarno Film Festival, dove i due protagonisti ricevono anche l'Excellence Award Davide Campari.
    La storia (producono l'Ascent Film con Rai Cinema e Adler Entertainment, Paolo Sorrentino è produttore associato) è ambientata nel 1792, quando Luigi XVI e Maria Antonietta insieme ai loro figli vengono reclusi nella Tour de Temple, un cupo castello di Parigi, in attesa del processo (verranno condannati a morte e decapitati nel 1793). Lontani dallo splendore di Versailles, per la prima volta isolati e vulnerabili, i due monarchi, uniti da giovanissimi in un matrimonio combinato, e dalle personalità profondamente diverse (lui timido e dalla personalità fragile, lei più ribelle) trovano la forza di reagire e iniziano ad avvicinarsi.
    Maria Antonietta "è un personaggio che ho amato - era molto complessa e sola - spiega Melanie Laurent che è stata aiutata nell'affrontare il personaggio dal libro sulla monarca scritto da Stefan Zweig -. Si vede come dalla sua nascita alla sua morte tutto per lei sarebbe stato molto complicato e che sarebbe stata circondata dall'odio". Questo è un personaggio che è stato raccontato varie volte, "ma ci si è soprattutto soffermati sul suo lato più frivolo, più pop, quello degli eccessi. Molto più raramente si è esplorata la sfera intima di questa coppia, come invece fa il film". Tra di loro a un certo punto "è come se cadessero le maschere - aggiunge Canet - si autorizzano a vivere le emozioni". Jodice ha diviso la storia in tre atti, gli dei, gli uomini, i morti, perché con il cosceneggiatore Filippo Gravino "ci tenevamo a fare un film più metafisico che storico, che avesse molto a che fare con la fine come concetto universale, di un re, di un regime, in generale la caduta dal cielo alla terra". Un passaggio "che al di là della maschera e del racconto storico viviamo nella nostra vita". (ANSA).
   

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