Cultura

Il viaggio di Cognetti nell'anima del Monte Rosa

A Locarno la prima regia dello scrittore, il docu Fiore Mio

Redazione Ansa

Quando "la natura dirà 'ne ho avuto abbastanza', ci farà sparire o terrà solo una piccola parte e andrà avanti. Io sono preoccupata, dispiaciuta e delusa rispetto a quanto siamo stupidi, ma non sono preoccupata per la natura". Lo dice, serena, parlando del cambiamento climatico, mentre prepara i piatti nella sua cucina, Marta, che ha trasformato l'Orestes Huette, creato dal padre e dallo zio, nel primo e unico rifugio vegano delle Alpi. Una delle voci con le quali lo scrittore Premio Strega Paolo Cognetti compone, dopo Le otto montagne, il suo percorso intimo e universale, insieme all'amato cane Laki, sul Monte Rosa. Uno sguardo stavolta anche registico nella sua opera prima, Fiore Mio, documentario che ha debuttato in preapertura al Locarno Film Festival (7-17 agosto), in una piazza Grande gremita che lo ha accolto con un lungo applauso. L'approdo in sala del film (prodotto da Samarcanda Film, Nexo Digital, Harald House, Edi Effetti Digitali Italiani con il sostegno della Film Commission Vallée d'Aoste) avverrà più avanti in un'uscita evento dal 25 al 27 novembre, con Nexo Digital. Questo nuovo abbraccio della montagna, nel quale ci immerge Cognetti, anche grazie alla straordinaria fotografia di Ruben Impens e alle musiche di Vasco Brondi, tra bellezza, silenzio e vita, inizia nell'estate del 2022, quando Cognetti si trova davanti all'esaurimento della sorgente della sua casa a Estoul, piccolo borgo a 1700 metri di quota che sovrasta la vallata di Brusson. Un effetto di quel cambiamento climatico destinato a sciogliere i ghiacciai e cambiare i paesaggi. Una molla che spinge l'autore a condividere ancora più profondamente quei luoghi, avendo come tappa tre rifugi (L'Orestes Hutte, a 2625 metri di quota, il Mezzalama a 3036 metri e il Quintino Sella a 3600 metri) e come compagni di strada amici, maestri e persone per le quali la montagna è casa perché scelta di vita o solo per un periodo. "Desideravo che i personaggi del film vivessero come gli animali, che anche loro fossero soprattutto corpi, gesti, parti della montagna - spiega Cognetti nelle note di produzione -. Non tante parole. Ho voluto coglierli nel loro fare, entrare con lo stesso silenzio e la stessa pazienza nella loro intimità. Infine, ho voluto parlare di ghiaccio, neve e acqua. Questo è il tempo del flusso. L'anima della montagna, la sua trasformazione e il suo essere viva". Così incontriamo, fra gli altri, l'amico di sempre Remigio; Arturo Squinobal (che ha realizzato con il fratello Oreste l'Orestes Huette), guida alpina e primo maestro di alpinismo per Cognetti; Corinne, in simbiosi con la montagna, dove gestisce il Quintino Sella, e Mia, che l'ha resa una parte del suo viaggio nel mondo. Ma anche lo sherpa Sete che ha scalato tre Ottomila (Everest, Manaslu e Daulaghiri) e lavora al Quintino Sella d'estate e d'inverno, mentre in autunno e in primavera fa la guida per i trekking in Himalaya, dove ha moglie e figli. Per lui in montagna non si muore ma si finisce. E quando gli chiedono cosa vorrebbe, risponde con semplicità "niente".

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