(dell'inviata Alessandra Magliaro)
(ANSA) - LIDO DI VENEZIA, 29 AGO - Riefenstahl, oggi Fuori
Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è un film
documentario che prova, con un enorme materiale d'archivio di
50mila fotografie, a smontare la tesi che la stessa regista
tedesca Leni Riefenstahl ha costruito per una vita nel
dopoguerra, ossia di non essere affatto coinvolta nel nazismo e
di non avere alcuna responsabilità di regime. Diretto da Andres
Veiel è una sorta di spy story in cui la leggendaria donna
(leggendaria per la vita che ha fatto e per il solo fatto di
essere una donna regista in quegli anni) è praticamente
pedinata, messa all'angolo in tutti i modi per costringerla a
fare i conti con un passato che però implacabile la segue come
un'ombra.
Dopo la sconfitta della Germania nella seconda guerra mondiale,
Riefenstahl provò a ricostruire la sua carriera descrivendosi
come un'artista apolitica e che aveva fatto film come quelli
passati alla storia sulle Olimpiadi di Berlino del 1936 come
commissioni, incarichi da Hitler che stimava ricambiata o dai
suoi ministri e non perchè fosse essa stessa parte di quella
cerchia. Film che raccontano il congresso del partito nazista
del 1934 in Il trionfo della volontà o celebrano i giochi
olimpici del 1936 con Hitler quasi semidio in Olympia. Nel
film, che vede anche la partecipazione Rai Cinema nella
produzione, Veiel si butta a capofitto negli archivi della
regista gestiti dalla Prussian Cultural Heritage Foundation di
Berlino.
"Riefenstahl - morta nel 2003 a ben 101 anni, ndr - ha cercato
per tutta la sua ultima parte di vita di ripulire gli archivi da
materiali scomodi che contraddicevano la sua narrazione pubblica
di artista distante da Hitler, ma nonostante ciò sono rimasti
degli indizi. C'è ad esempio una frase che avrebbe detto molto
prima della guerra al quotidiano britannico Daily Express in cui
durante le riprese di The Blue Light nel 1931 sarebbe caduta
innamorata di Hitler sin dalle prima pagine del Mein Kampf,
diventando una entusiasta nazionalsocialista. Ebbene - ha detto
oggi in un incontro stampa Veiel - Leni si è sbarazzata del
ritaglio stampa, ma noi lo abbiamo rintracciato dalla fonte
originale".
In tutto il film si vede una anziana ma battagliera Riefenstahl
scattare per difendere la sua onorabilità di artista, negando ad
esempio di aver usato come comparse rom destinati ai forni
nazisti o di aver mai espresso sentimenti razzisti sugli ebrei.
O peggio ancora un film sull'Olocausto da lei stessa distrutto.
E' incalzata durante interviste televisive concesse nel
dopoguerra ma lei non crolla mai e anzi conserva le
registrazioni delle telefonate che riceve in suo sostegno, una
vittima insomma che però il pubblico continua ad ammaliare. "Era
una manipolatrice - hanno detto oggi Veiel e la produttrice
Sandra Maischberger che a gennaio daranno alle stampe un libro
sulla loro indagine - creatrice di fake news". Secondo il
regista un personaggio come Riefenstahl evoca direttamente "le
parate russe di Putin o le frasi di Trump con i migranti che
succhiano sangue agli americani". Lei al contrario fino a poco
prima di morire, con le esperienze in Sudan nelle tribù indigene
e poi con un film sportivo di imprese sottomarine, ha sostenuto
di essere stata guidata per tutta la vita dal mito della
perfezione estetica, dalla bellezza e dalla natura. (ANSA).
Riefensthal, docu smonta le sue negazioni filo Hitler
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