Cultura

Harvest, la rivoluzione agricola inglese in Polaroid

In concorso al Lido la quarta regia di Athina Rachel Tsangari

Redazione Ansa

Torna in concorso a Venezia dopo molti anni la regista greca Athina Rachel Tsangari con Harvest, il suo quarto lavoro tratto da un romanzo omonimo di Jim Kreis. Nel corso di sette strani giorni ci ritroviamo in un villaggio senza nome in Inghilterra durante il Medioevo, quando il Parlamento inglese promulgò gli Enclousers Acts, ovvero le leggi sulle recinzioni applicate ai campi e ai terreni comuni appartenenti a piccoli proprietari, avvantaggiando così i grandi proprietari. Un piccolo villaggio meticolosamente e filologicamente ricostruito con una popolazione prevalentemente costituita da contadini, dove giungono tre nuovi abitanti. Il loro arrivo coincide con la fine della stagione del raccolto che, invece di essere festeggiata come di consueto, è minacciata da due incendi che distruggono parte della dimora del padrone terriero e il limitare del bosco circostante. Gli abitanti del posto, superstiziosi e diffidenti, attribuiscono la cattiva sorte all'arrivo dei forestieri. Diventati capri espiatori delle difficoltà economiche che il villaggio si prepara ad affrontare, i tre malcapitati sono anche bersaglio di tutta la rabbia e la frustrazione della comunità. Tra i protagonisti, l'agricoltore Walter Thirsk (Caleb Landry Jones) e il proprietario terriero Charles Kent (Harry Melling). "Con questo adattamento del romanzo Harvest - dice la regista al Lido - abbiamo avuto la possibilità di esaminare il momento in cui tutto ha avuto inizio per noi che nel XXI secolo siamo eredi di una storia universale di perdita della terra. Per me, Harvest è un film sulla resa dei conti. Cosa abbiamo fatto? In che direzione stiamo andando? Come possiamo salvare il suolo, il sé all'interno dei beni comuni? Harvest si svolge in un mondo liminale, e illustra le prime crepe della 'rivoluzione' industriale. Che rivoluzione non è stata. Una comunità agricola viene sconvolta da tre tipi di forestieri: il cartografo, il migrante e l'uomo d'affari, tutti archetipi di cambiamenti sconvolgenti". E conclude Athina Rachel Tsangari: "Il futuro non fa parte della storia: accadrà fuori dallo schermo, in un mondo che non siamo destinati a vedere. Non ci sono eroi. Solo persone comuni e imperfette. L'ho immaginato come un dagherrotipo, o il suo equivalente moderno, una Polaroid esposta lentamente al crepuscolo".

Leggi l'articolo completo su ANSA.it