Amore a Mumbai, il film della regista indiana Payal Kapadia premiato con il Grand Prix al festival di Cannes, in sala dal 10 ottobre con Europictures, racconta l'esistenza dell'infermiera Prahba e della sua giovane coinquilina Anu, sua assistente nello stesso ospedale. Una routine semplice, in cui il lavoro finisce per occupare le intere giornate di queste donne arrivate dalla provincia per lavorare nella grande metropoli indiana. Prahba riceve un regalo (un modernissimo cuociriso) dal marito emigrato in Germania e di cui aveva perso le tracce e questo la destabilizza, Anu invece filtra con un ragazzo e cerca di vederlo il più possibile. Parvaty è preoccupata per la minaccia dell'espropriazione della sua casa. Il film, un delicato affresco femminile, ha al centro la sorellanza.
"L'amicizia tra queste donne è complessa. Ciascuna di loro ha i suoi difetti e non è sempre perfetta. Mi interessava esplorare l'amicizia, una relazione che non ha una vera definizione. Con il passare del tempo, gli amici diventano un sistema di supporto sempre più forte, a volte anche più della famiglia. Sento che questo è particolarmente vero quando si vive lontano da casa. Era questo il tipo di relazione che volevo esplorare nel film", risponde Kapadia a New York per la promozione del film. La regista, che aveva colpito già con il primo film, il documentario A Night of Knowing Nothing sulla vita degli studenti universitari, è di Mumbai, "una città molto cosmopolita. Le persone vengono a lavorare qui da ogni parte del paese. In questo senso, è multiculturale e diversificata. È anche un posto dove, rispetto a molte altre zone del paese, è un po' più facile per le donne lavorare. Volevo fare un film su donne che lasciano le loro case per andare a lavorare altrove, e Mumbai era l'ambientazione perfetta per questo. Un altro aspetto della città che mi interessa è quanto sia in continuo cambiamento, c'è un boom immobiliare e i costruttori continuano a impossessarsi di aree in cui le persone hanno vissuto per anni e non tutti, come accade nel mio film alla collega della protagonista, hanno la documentazione necessaria per dimostrare di averci vissuto".
Finzione e realtà convivono in questo film che ha nella delicatezza e insieme profondità della storia un linguaggio cinematografico in grado di mescolare con grande efficacia documentario e fiction. Donna, regista, indiana: in Italia lo sguardo femminile nel cinema si fa largo con fatica per quanto le cose stiano cambiando. Nel suo paese? "In India, il genere non è l'unico privilegio che può mancare. Ci sono altre intersezioni. Sono una donna - sottolinea - ma appartengo a una casta dominante e a una classe privilegiata. Quindi ci sono molte cose che per me sono più facili rispetto a un uomo che non ha le stesse opportunità. È difficile per tutti fare cinema, specialmente film indipendenti che cercano di essere selezionati nei festival. Non ci sono molti soldi in questo genere di film. Per questo sono molto grata ai sistemi europei. Per rispondere alla tua domanda, non mi vedo davvero come una regista donna che non ha opportunità a causa del suo genere. Ricevo molte opportunità grazie ad altri miei privilegi"
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