Cultura

Hertzko Haft, il pugile dei lager

Una vittima-carnefice al centro della graphic novel di Kleist

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA - Se sopravvivere è la posta in gioco, anche un pugno può salvarti la vita: non sono in tanti a conoscere la storia di Hertzko Haft, l'uomo che uscì vivo dai lager nazisti della Seconda Guerra Mondiale perché costretto a disputare incontri di boxe. Il suo calvario è al centro della graphic novel "Il Pugile" di Reinhard Kleist, edita da BAO Publishing, che racconta la sua vita durante il conflitto, la prigionia nei campi e la successiva liberazione.

"Hertzko Haft non è certo un eroe", ha dichiarato in un'intervista all'ANSA Kleist, a Roma per presentare il libro, "ha ucciso degli uomini, e per via del trauma non è stato una bella persona, è stato cattivo con la sua famiglia. Ma in fondo la sua storia è quella di un uomo che ha solo fatto di tutto per sopravvivere: ecco perché è così affascinante". Difficile del resto rimanere impassibili di fronte alla vicenda di cui Haft fu protagonista: deportato dapprima nei lager di Auschwitz-Birkenau, poi nel campo di Jaworzno e in quello di Flossenbuerg, fu costretto durante la prigionia a battersi in incontri violentissimi, al limite del sadismo, solo per compiacere e intrattenere i gerarchi nazisti. Destino crudele il suo, che condivise con tanti altri atleti, molti dei quali non riuscirono a salvarsi. Lui invece ci riuscì: venne liberato, emigrò negli Stati Uniti dove divenne un pugile professionista, arrivando a sfidare perfino il campione Rocky Marciano, ma pagò il prezzo di un trauma che non fu mai in grado di superare pienamente.

La scoperta della storia del pugile dei lager da parte dell'illustratore e fumettista tedesco è avvenuta in realtà in modo del tutto casuale, grazie a un "incontro fortuito" con il libro "Harry Haft: Auschwitz Survivor, Challenger of Rocky Marciano" che il figlio di Haft, Alan Scott, ha scritto dopo aver raccolto la terribile testimonianza del padre: "mentre ero in libreria ho visto un libro che parlava di Olocausto e boxe e non riuscivo a capire come le due cose potessero essere collegate", ha raccontato Kleist, "poi la storia di Haft mi ha conquistato e ne ho tratto il mio libro". "Mi capita sempre di trovare l'ispirazione così", ha spiegato con un sorriso, "mi guardo intorno, una storia mi cattura e improvvisamente capisco cosa voglio raccontare". Un coinvolgimento che per lui si è trasformato presto in una forma di impegno, come artista e come cittadino tedesco: "C'è ancora bisogno di parlare della Shoah, e in Germania è ancora difficile avere a che fare con questo tema", ha spiegato, "quando vedo alla tv persone che manifestano ideologie filonaziste è un duro colpo perché facilmente si può degenerare verso la barbarie e la violenza".

Con grande acume e capacità di descrivere un personaggio solo con pochi tratti, Kleist è riuscito a far emergere la complessità di Haft: "Volevo raccontare un personaggio che la gente potesse seguire anche se ha fatto brutte cose: il mio compito è stato proprio quello di spiegare i motivi che lo hanno spinto ad agire in determinati modi", ha proseguito, "nella sua vicenda c'è molto di personale ma anche aspetti legati alla società e alla politica". (ANSA).
   

Leggi l'articolo completo su ANSA.it