Se opposizione e rivolta della Beat generation (definizione coniata da Kerouak nel 1952) si legano a un acceso individualismo, a un impegno politico anarchico e a un'ansia lirica a contestazione della società di massa, si capisce come sia stata la poesia la forma più idonea e originale di espressione, come notava sin dalla fine degli anni '60 Vito Amoruso, e che la voce maggiore sia stata quella di Allen Ginsberg, nato giusto 90 anni fa il 3 giugno 1926, e scomparso il 5 aprile del 1997, che con il suo ''Urlo'' (Howl) ha creato uno dei momenti topici di quella cultura, che in una vita vagabonda, sesso, alcol e droghe, cercava strumenti di liberazione dalle convenzioni borghesi e di esplorazione della coscienza.
''Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, / trascinarsi all'alba per strade di negri in cerca di una siringata rabbiosa di droga, / hipster aureolati bramare l'antico contatto paradisiaco con la dinamo stellata nel macchinario della notte.
Dal 1955, quando fu letto per la prima volta a San Francisco pssarono anni e processi in America, con l'arresto del primo editore, Lawrence Ferlinghetti con la sua City Lights, prima che il poema potesse essere pubblicato liberamente e integralmente. Del resto anche la prima edizione italiana a cura di Fernanda Pivano di dieci anni dopo era piena di puntini al posto dei nomi degli organi sessuali e altre cose ritenute troppo forti, e ancora nel 1967 Ginsberg venne arrestato per oscenità durante il Festival di Spoleto dove aveva letto alcune sue poesie e processato con i tempi italiani, così che un nuovo volume di suoi versi tradotti uscì solo nel 1973. Ma ancora nel 1988 le radio americane si rifiutarono di trasmettere la lettura di ''Urlo'' per il suo ''linguaggio indecente'', mentre Ginsberg era intanto diventato un personaggio autorevole e docente dell'Università di Brooklyn, già nel 1973 aveva ricevuto il National Book Award per la raccolta ''Yhe Fall of America'' e nel 1993 ebbe poi dal ministro francese della Cultura la medaglia di Chevalier des Arts et des Lettres.
''Porto la corona folle della non saggezza'' dice un suo verso, dietro il quale è tutta la sua vita difficile, bambino ebreo di sette anni che vide impazzire sua madre (per la morte della quale scrisse poi i versi di ''Kaddish per Naomi'', forse il suo capolavoro), ragazzo amico di Kerouac e Burroughs con cui ebbe i primi contatti con la marijuana ma anche con la poesia, infatuato di Whitmann e Blake, espulso dalla Columbia University, dopo vari lavori e vagabondaggi finì per un anno in una clinica psichiatrica, uscito dalla quale inziò la sua storia di poeta e critico prima al Greenwich Village (con viaggi nello Ycatan alla scoperta dei funghi allucinogeni e della filosfia orientale), poi a San Francisco per seguire il suo amore Neal Cassidy. da qui la sua protesta forte e assoluta dello spirito imprigionato nella carne, della dissociazione tra libertà interiore e realtà esterna, del disagio esistenziale profondo alla cui base è comunque un anelito spirituale. Non a caso arriveranno i viaggi in India e in Giappone, la scoperta e studio del buddismo e della filosofia Zen, la scelta dell'impegno pacifista e anticapitalista espresso in ''mantra del Re di maggio'' o in ''The Fall of America''.
Comunque, mentre i Beats diventavano una moda e trovavano anche una loro inevitabile commercializzazione, Ginsberg, Kerouac o Burroughs erano artisti veri che esprimevano lo spirito del loro tempo e della fine del sogno americano e le loro opere, pur di rottura, avevano fili precisi che li legavano alla grande tradizione letteraria americana e europea, e così alla musica jazz (Ginsberg scrisse poi con e per Philip Glass l'opera ''Jukebox all'idrogeno''), dando sostanza a una libertà e improvvisazione meno reale di quel che sembra e che si teorizzava.