''Questo paese nel dopoguerra si è trovato a ricostruire tutto. C'era una classe dirigente che si è rimboccata le maniche, investimenti pubblici e uno Stato che cercava non solo di costruire strutture che rispondessero alle attese, ma anche di essere efficiente.
Si è partiti dunque con Giuliano Amato e ''Un'idea dell'Italia'' poi è stato Pierluigi Ciocca ''sui problemi, economici, giuridici o strutturali, per cui il paese fatica a decollare''. Prossimi appuntamenti, il 15 giugno con Enzo Moavero, Angelo Bolaffi, Franco Gallo e Vladimiro Giacchè sul rapporto tra Italia ed Europa; e il 6 luglio con Gino Roncaglia, Franco Lorenzoni, Valiera Pinto e Gianfranco Viesti su scuola e formazione. ''Siamo di fronte a un paese che deve confrontarsi anche con l'Europa. Ma quale Europa immaginiamo? - prosegue Bray - Si deve tornare a fare matrice e sistema, riscoprire valori, identità culturali. Se non ridisegniamo un manifesto per la cultura europea non ne usciamo, perché l'Europa, lo stiamo vedendo, non si fa con la finanza e basta. Serve altro''. E poi la politica industriale. ''Cosa farà questo paese da grande, che ruolo giocherà? - chiede - E' ottima l'idea di investire sulla banda larga, ma bisogna anche dare una possibilità reale alle nuove leva di fare imprenditoria di innovazione. C'è un problema di credito all'impresa, di assistenza al mondo delle start up. E c'è una riforma che entra con tutti i piedi in questo: la Buona Scuola. Sarebbe utile discutere su che ruolo il paese può avere nella nuova tecnologia e Treccani sta dando piena disponibilità per una piattaforma che accompagni la riforma''. E poi la cultura, con il paesaggio per decenni devastato: nodi centrali nel futuro del paese, di cui si parlerà a ottobre con lo storico Tomaso Montanari. ''E' inutile - dice Bray - pensare di vincere puntando sulla quantità. Lì c'è tutta una parte del mondo che ci sta a guardare. Ma non c'è altro paese che può invece puntare sulla qualità e sulla cultura come l'Italia. In un momento in cui il paese è così diviso, poi, la cultura può fare da collante, farci sentire comunità. Però dobbiamo fare in modo che sia viva''. Ma la più grande differenza tra l'Italia del dopoguerra e l'Italia di oggi è forse proprio nello scollamento tra la ''gente'' e la ''politica''? ''Negli anni '50 - risponde - c'era consapevolezza, un'idea di piano Marshall, di futuro da dare ai figli. Io uso spesso la metafora della mela: in una metà vivono quelli che fanno politica, comunicazione; nell'altra tutti quelli che non si sentono più rappresentati. Ognuno di questi seminari stila bene l'elenco di quello che ci sarebbe da fare oggi per l'Italia. Altrimebti sarà difficile ricongiungere quelle due metà. Noi, invece, in questo momento, dobbiamo davvero ricostruirlo il paese''.(ANSA).
Massimo Bray, alla Treccani per 'Pensare l'Italia'
Ciclo di seminari per capire come 'ricostruire il paese'