E' una storia intensa, commovente e che ci interroga nel profondo, quella raccontata nel libro di Veronica Passeri 'Penelope alla peste' edito da Castelvecchi. Parla a ciascuno di noi e, già dalle prime pagine, ci riporta alle paure, le speranze, i piccoli gesti quotidiani che hanno accompagnato i lunghi mesi del lockdown per la pandemia da Coronavirus. E lo fa attraverso 14 voci, quelle di altrettante donne, bambine, anziane, che aprono mente e cuore alla scrittrice. Quattordici storie, vere, di come Irene, Barbara, Lisa, Tiziana, hanno vissuto quel periodo. Testimoniando, nel frattempo, quanto le donne, in tutti i campi, anche in questa occasione abbiano fatto la differenza.
Si parte con la storia di Barbara, l'anestesista che in molti di noi ricordano per il suo duro e accorato appello sui social mentre i contagi salivano. Parole dirette, che hanno colpito tutti, ma che, si rammarica lei stessa, forse non sono andate a segno. Perché, mentre venivano pronunciate con l'aumetare di casi e ricoveri, ancora qualcuno non aveva capito. Ancora qualcuno era sui Navigli a fare serata o in coda all'autostrada per il primo assaggio di mare. L'eccesso di informazione forse ha dato vita anche a questo: a una assuefazione al dolore, alle catastrofi, alle stragi, ai terremoti. A una percezione lontana di quanto stava accadendo, che 'tanto non capiterà a me'. Che ha portato ad atteggiamenti leggeri, sbagliati, in alcuni casi anche negazionisti.
E poi c'è Irene che ha iniziato e finito subito la sua prima elementare e che ha tante domande nella testa che non riesce a fare. La prima e più pressante: 'Come stanno i nonni? Ci sono ancora?''. Loro vivono al piano di sotto ma la bimba, ora, ha il divieto di incontrarli perché giro c'è un 'un virus ammazza-nonni' che fa tanta paura. C'è tutto in questo libro. Sulle paure e le angosce che ha portato in tutte le generazioni indistintamente questa pandemia.
C'è Rosanna che festeggia dietro un vetro i suoi 86 anni ma che ha paura delle sirene: ogni volta che ne sente una torna al 1943. E c'è Piera che, a Brescia, tiene il telefono del centro anti-violenza acceso giorno e notte. Perché ci sono case piene di ombre e il virus ha reso le cose ancora più drammatiche.
E infine Lisa che di paura non ne ha, perché ha imparato a controllarla. E allora sfreccia con la sua bici per le vie di Bologna e da rider prova ad aprire una via per la Fase 2.
Un libro denso, una riflessione a volte amara su quelli che sono stati questi mesi per tutti attraverso i volti delle donne, che più di altri, sono restate in prima linea.
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