(di Paolo Petroni)
(ANSA) - ROMA, 05 OTT - Il libro più bello, intenso e limpido
di Antonio Debenedetti, critico e scrittore scomparso a 84 anni
domenica notte, capace di contenere e dare una misura alla
ragione e al sentimento è ''Giacomino'', in cui riesce, dopo la
sua morte, a fare finalmente i conti con l'ingombrante figura
del padre, il grande studioso di letteratura Giacomo
Debenedetti, con cui aveva avuto un rapporto ambivalente e
profondo, assieme raccontando quella società culturale e
letteraria che frequentava la sua casa negli anni della guerra e
delle persecuzioni raziali (è del padre il celebre ''16 ottobre
1943'' sulla razzia degli ebrei dal ghetto di Roma) e poi della
vivacità del dopoguerra a Roma. Così quel racconto
personalissimo ma che sapeva trovare il tono per diventare più
esemplare diventa un po' il perno dell'avventura umana e
letteraria di Antonio che comincia a scrivere a fine anni '60,
quando oramai tutto è già cambiato.
Questo non toglie che Debenedetti si sia anche misurato col
romanzo, da ''In assenza del signor Plot'' a ''La fine di un
addio'', ''Se la vita non è vita'' (Premio Viareggio 1991) e
''Un giovedì, dopo le cinque'' (finalista Premio Strega 2000).
Nella prefazione di Cesare De Michelis alla raccolta si legge
che Debenedetti è ''scrittore moralista che guarda al disfarsi
della società cui appartiene per storia, società e cultura, con
disincanto e dissimulato disgusto, ma in cuor suo conserva la
nostalgia vivida di un ordine infranto''. E se il kitsch del
mondo di fine anni '60 dava la misura dell'involgarimento della
vita borghese, questa nel nuovo millennio, nei racconti de ''Il
tempo degli angeli e degli assassini'' è ritratta come altra e
persa, oramai incapace di qualsiasi cambiamento, il cui orrore
quotidiano è esploso in frammenti che è oramai difficile
collegare per ottenere un disegno accettabile, o avere una
qualche speranza. E anche il suo stile, da un gioco più barocco
con echi gaddiani passerà a una ricerca di limpidezza e di un
tono asciutto, elegante e insinuante, sempre con attenzione al
grottesco e al paradossale quotidiano, con uno sguardo
velatamente ironico.
Una Roma per molti versi moraviana, ma vista con una
partecipazione, una comprensione di chi sa di farne alla fine
comunque parte, anche nel momento in cui cerca di osservarla
dall'esterno, con occhio ironico che giudica, dapprima con
indignata ma divertita accondiscendenza, poi col passare degli
anni in maniera sempre più implacabile. E' proprio il percorso
di un paese che passa dall'illusione che comunque si stia
vivendo un qualche cambiamento che si lascerà alla spalle una
certa realtà e, vi via, la disillusione sempre più cocente, che
indigna e deprime.
Del resto si tratta di uno scrittore che da bambino e ragazzo
riceveva aiuto per i suoi studi e compiti dagli amici del padre
in visita quotidiana, a cominciare da Giorgio Caproni, cui
seguivano tutti gli intellettuali e scrittori romani di quegli
anni fervidi e che si ritrovavano anche in altri salotti, come
quello dei Bellonci. Si poteva parlare allora di società
letteraria, andata poi via via disgregandosi, dissolvendosi
scivolando lungo una china inarrestabile come non avvedendosene.
Che è poi il destino dei suoi personaggi, la cui vita scivola
via in una discesa senza ritorno, uomini senza qualità, più
maschere che sentimenti, che non hanno attenuanti e per questo,
per questa loro illusione di vita che tale non è, fanno forse un
po' pietà e un po' rabbia.
Accanto a questa attività di scrittore, con non meno
attenzione alla scrittura, Debenedetti è stato critico
letterario e giornalista culturale, redattore del Corriere della
Sera sino alla pensione e poi collaboratore, oltre che
conduttore garbato e intelligente, mai noioso o pedante in
programmi tv tra memoria e sguardo critico, ''disertore
inveterato della prassi'' come il suo Signor Plot dell'esordio
narrativo, ''purtroppo avvezzo a separare il concreto
dall'astratto, privilegiando disgraziatamente quest'ultimo''.
(ANSA).
La scomparsa di Debenedetti, maestro del racconto
Scrittore e critico, testimonia le disillusioni del secondo '900
