(ANSA) - ROMA, 13 LUG - IACOPO BENEVIERI, 'COSA INDOSSAVI? -
LE PAROLE NEI PROCESSI PENALI PER VIOLENZA DI GENERE' (TAB
EDIZIONI, pp. 144 - 12 euro).
Ha avuto ampia circolazione la notizia della partecipazione
ad un concorso per miss di una ragazza che ha scelto di sfilare
con gli abiti indossati nel triste giorno in cui un uomo tentò
di violentarla. Martina Evatore, 20 anni, ha voluto compiere
questo gesto, vestita quasi senza un centimetro di pelle
scoperta, dopo che una sua amica, poche settimane fa, aveva così
commentato una sua mise: "Se vai in giro in questo modo, te la
cerchi". Il saggio di Iacopo Benevieri "Cosa indossavi?", di
recente uscita per Tab Edizioni, indaga proprio sull'uso delle
parole nei processi per casi di stupro e sugli stereotipi che
con esse si trascinano.
La denuncia di Martina non approderà, almeno per il momento,
in un'aula di tribunale, perché il tipo sulla quarantina che
mollò la presa grazie al sopraggiungere di alcuni passanti, non
è stato ancora individuato. È proprio lì, invece, che ci conduce
Benevieri, avvocato penalista esperto di linguaggio come mezzo
per l'affermazione dei diritti e, soprattutto, dei poteri. Lo fa
partendo da un approfondimento, fra storia e mitologia, sulle
origini di quel senso di colpa che spesso, più o meno
inconsciamente, trattiene una donna dal denunciare un abuso
subito. Perché convinta di esserne co-responsabile.
Illuminante, quindi, l'elenco delle 12 false credenze legate
alle violenze sessuali: da quella sugli autori di stupro che
nella maggior parte dei casi sarebbero sconosciuti alla vittima
(mentre le statistiche provano da tempo l'esatto contrario); a
quella sul ruolo giocato dall'abbigliamento e dai comportamenti
della donna nel giustificare l'azione dell'aggressore. Dodici
macigni che costituiscono il cosiddetto "senso comune" sul tema
degli abusi e che, fa capire Benevieri, sfruttati più o meno
subdolamente da avvocati e magistrati in sede dibattimentale,
possono finire con l'infiltrarsi nelle sentenze.
Dopo un'analisi sui vari tipi di confronto linguistico che si
stabiliscono fra due interlocutori (se fra di essi ci sono un
soggetto forte e uno debole), l'autore entra definitivamente in
aula per descrivere l'ampia casistica, dedotta dai verbali, di
condizionamenti, degradazioni e intimidimenti subiti dalle
vittime di violenza chiamate a deporre sulla propria denuncia.
Potenza della parola, dunque, con mille e più strumenti cui fare
ricorso. Comprese le pause, i toni di voce, le espressioni del
viso e le gestualità. L'analisi è compiuta ruotando intorno ad
un brevissimo estratto d'interrogatorio: "L'imputato... (Pausa)
Le piaceva, no?".
Benevieri, in conclusione, rivolge un appello a tutti coloro
che in ogni processo per abusi possono assumere un ruolo
dominante sulla controparte, affinché lo riducano al massimo
nelle manifestazioni verbali (pur senza rinunciare ai
diritti-doveri della propria funzione), nell'interesse unico
della vittima, figura nella maggioranza dei casi più debole e
vulnerabile. (ANSA).
Violenza di genere, gli stereotipi nei processi per stupro
"Cosa indossavi?", false credenze e abusi anche linguistici