(ANSA) - ROMA, 18 LUG - "La docuserie di Netflix su Yara mi è
sembrata un'occasione persa per spiegare e mettere un punto
sulla vicenda che al di là di ogni ragionevole dubbio è
conclusa". Lo dice la giornalista Laura Marinaro, autrice con
Roberta Bruzzone del libro 'Yara. Autopsia di un'indagine'
pubblicato da Mursia. "Intanto Massimo Bossetti è presentato
come un eroe dell'ingiustizia in quella sedia (stile trono) al
centro di una stanza, poi mentre atleticamente calcia il
pallone… Lui di fatto non dice nulla, non aggiunge, né toglie
nulla" sottolinea Marinaro.
"C'è veramente ancora qualcosa da dire sul caso di Yara
Gambirasio? Ha davvero senso dare la parola a chi ha brutalmente
assassinato una bambina per placare i suoi torbidi appetiti? Ci
sono davvero 'ragionevoli dubbi' sulla colpevolezza di Massimo
Giuseppe Bossetti (come tentano vanamente e insistentemente di
farci credere)? La risposta a questi tre quesiti è sempre
inesorabilmente la stessa e non cambierà mai: No. Ecco perché la
annunciata docuserie di Netflix sul caso di Yara, in cui viene
messa in onda anche una lunga intervista al condannato in via
definitiva, non toglie né aggiunge niente alla vicenda e alla
granitica valutazione effettuata in ben tre gradi di giudizio in
cui è stato dato ampio (anzi, ampissimo) spazio alla difesa
durante il lunghissimo dibattimento sia di primo che di secondo
grado" afferma Bruzzone. "Molto rumore per nulla, insomma.
Massimo Bossetti ha ucciso Yara quella maledetta notte del 26
novembre 2010 e ha firmato quel viaggio nell'orrore con il suo
codice genetico in maniera insuperabile. Lo scrivono a chiare
lettere i giudici e i consulenti della difesa nulla hanno potuto
osservare contro la correttezza delle indagini genetiche svolte:
'Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi
laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza
identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto
sulla mutandine della vittima, e quelle dell'imputato'" aggiunge
Bruzzone.
Per Laura Marinaro "ben fatta la parte su Yara chi era lei e
sull'angoscia dei suoi genitori, anche se tutto dall'inizio alla
fine della ricostruzione è chiaramente fatto per seminare dubbi
ancora addirittura su suo padre, dubbi ancora su Silvia Brena
che dalle carte, quelle del processo che noi raccontiamo bene,
uscì dall'inchiesta con motivazione, dubbi sull'autista della
palestra, dubbi sulle testimonianze. Manca quell'onestà
intellettuale in cui c'è solo la realtà di come è davvero andata
e niente altro. È questo che ha spinto me e Roberta a scrivere
il libro, la volontà, attraverso l'analisi degli atti del
processo, di raccontare ciò che è realmente accaduto depurandolo
dalle molte speculazioni che continuano a cercare di intaccare
la fondatezza della condanna all'ergastolo di Massimo Bossetti.
Ecco con questa serie si è fatto un passo indietro in questo
senso e il problema è che la vedranno in molti, forse troppi…".
In 'Yara. Autopsia di un'indagine' Bruzzone e Marinaro, che
hanno seguito il caso e il processo direttamente e con
attenzione scrivono: "Solo una parte di quanto è davvero
accaduto in aula è arrivato all'opinione pubblica che ancora
oggi, non avendo competenze tecniche, non avendo letto bene le
motivazioni delle sentenze, annebbiata da un certo
'complottismo' televisivo, continua a chiedersi se in carcere ci
sia davvero l'assassino di Yara. Per questo motivo, per cercare
una volta per tutte di fugare quel (assai irragionevole) dubbio,
racconteremo come si è svolto quel processo, momento per
momento". (ANSA).
Le autrici del libro su Yara, docuserie Netflix occasione persa
Laura Marinaro e Roberta Bruzzone hanno seguito il processo