(di Chiara Venuto)
(ANSA) - ROMA, 30 LUG - "Ricordo, ad esempio, quando il
Procuratore generale, il signor Robert Kennedy, disse che era
plausibile che tra quarant'anni in America potesse esserci un
presidente nero", "un'affermazione molto emancipata, immagino,
per i bianchi", che però "non sentirono (e forse non sentiranno
mai) le risate, l'amarezza e lo sdegno con cui questa frase fu
accolta" ad Harlem. Era il 1963 quando James Baldwin, scrittore
e attivista per i diritti civili statunitense, incontrò Bob
Kennedy. Un appuntamento pieno di incomprensioni e
insoddisfazione. Sarebbero dovuti passare 46 anni prima di
vedere Barack Obama presidente, ma, a quel punto, Baldwin ci
aveva già lasciati da 22. Le sue parole, riproposte nel
documentario 'I am not you negro' (2016), continuano però ad
essere attuali.
Baldwin, nato il 2 agosto del 1924, oltre ad essere stato una
grande penna, ha anche rappresentato una delle figure
intellettuali di spicco del movimento per i diritti civili della
sua epoca. Tra i suoi contemporanei, anche Martin Luther King e
Malcolm X. Ricordarlo a cent'anni dalla sua nascita significa
pensarlo ancora arrabbiato come allora. Non solo per i diritti
della popolazione di colore, per i quali si è battuto tutta la
vita. Anche per quelli delle persone della comunità Lgbtq, di
cui faceva parte, e delle donne. Proprio oggi che c'è la prima
donna non bianca in corsa per le presidenziali. "Hanno distrutto
e stanno distruggendo centinaia di migliaia di vite e non lo
sanno e non vogliono saperlo", scriveva in 'La prossima volta il
fuoco' (Fandango Libri), un'intensa lettera al nipote. "Né io né
il tempo né la storia li perdoneremo mai", prometteva.
Il perdono, per lui, non era possibile. Troppo il dolore: lo
si legge in tutte le sue opere. Anche in 'Se la strada potesse
parlare' (Fandango Libri), la cui nuova edizione italiana uscirà
il prossimo 9 agosto, una storia d'amore nella Harlem che lui
tanto bene conosceva che si intreccia con una realtà dura,
cinica, di sofferenza e ingiustizie. Un libro in cui, anche se
emerge la profonda passione e tenerezza di una donna
giovanissima che ama il proprio uomo, non manca la frustrazione
di una realtà raccontata per quello che è, senza esagerazioni.
Anche in questo caso, e forse siamo noi lettori per primi a
provarlo, il perdono non è un'opzione semplice. Così ci
scaldiamo con una rabbia che, alla fine, non ci è poi
sconosciuta: la vediamo ancora per le strade degli Stati Uniti,
nello sdegno verso le morti insensate di uomini e donne di
colore. Nei fiumi di donne che tingono le città di tutto il
mondo di rosa al grido di 'Non una di meno', come pure nella
furia dei cortei dello scorso novembre, quando morì Giulia
Cecchettin. Senza dimenticare le rivendicazioni di chi subisce
l'omobitransfobia.
James Baldwin è vivo e tanto moderno, dunque, e la sua
eredità non si limita alle lotte per i diritti civili. Ma anche
in una necessaria attenzione per le periferie e la marginalità
che resta un tema attuale, così come in uno stile letterario
ritmico, acuto, elegante, spigoloso. Anche di questo discutono
nel loro ricordo dei '100 anni di amore e di lotta' di Baldwin
intellettuali come Giulia Caminito, Paolo Giordano, Ubah
Cristina Ali Farah, Nadeesha Uyangoda, Sabrina Efionayi, Djarah
Kan e Saif Ur Rehman Raja. Lo fanno nel podcast 'Nel nome di
James', sette episodi ascoltabili su Audible che mischiano ciò
che Baldwin era con come può oggi ispirare i pensatori della
nostra generazione. (ANSA).
Rileggere James Baldwin in tempo di elezioni negli Usa
L'eredità letteraria e nei diritti a 100 anni dalla sua nascita