Cultura

Pappé, per il Medio Oriente serve un unico stato democratico

Storico all'ANSA: "Società divisa, il 7 ottobre ha aperto crepe"

Redazione Ansa

(di Chiara Venuto) (ANSA) - ROMA, 02 OTT - "I problemi di Israele non sono il Libano o l'Iran. Il problema resta il fatto che Israele ha il bisogno di opprimere milioni di palestinesi". Ilan Pappé, storico israeliano convintamente anti-sionista, non ha dubbi sulle ragioni della guerra in Medio Oriente e sulla sua quotidiana degenerazione. Per lui, il problema sta tutto nel cuore di quel territorio che ormai dal 1948 è conteso da due popoli. Anche quando la guerra finirà, "Israele continuerà ad avere di fronte il suo problema principale - spiega all'ANSA - ovvero i milioni di palestinesi che occupa, colonizza, e i milioni di rifugiati in Palestina che cercano una soluzione, libertà e liberazione. Penso che la guerra sia una distrazione rispetto al fatto che stiamo assistendo a una terza intifada, iniziata il 7 ottobre e che ancora va avanti in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza. Questo è l'importante processo storico, non la guerra contro il Libano o l'Iran, ma il fatto che dopo 76 anni di esistenza di Israele, i palestinesi sono ancora lì. E il fatto che non si arrenderanno determinerà il futuro israeliano".
    Nel suo ultimo libro, 'Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina dal 1882 a oggi', volumetto di 144 pagine pubblicato in Italia da Fazi Editore con la traduzione di Valentina Nicolì, il professore dell'università di Exeter cerca di contestualizzare i fatti di oggi. E non rinuncia a puntualizzare come le vicende del passato vengano narrate diversamente dalle parti in causa.
    Nella prefazione, invece, propone una riflessione su quelle che chiama "crepe" nelle fondamenta dello Stato di Israele, rese evidenti dal mortale attacco di Hamas dello scorso anno. Per Pappé questi squarci ci sono ancora, anzi, "i feroci attacchi anche ad altri Stati avvengono proprio per via di queste crepe - riflette, ma non tentenna - e non sono una soluzione ad esse. La politica aggressiva di Israele a nord non cambierà il problema interno della società ebraica israeliana. Non rafforzerà l'economia del Paese, perché costa molto. Né lo renderà più popolare. E non farà identificare con Israele i giovani ebrei nel mondo. Io non vedo come questa guerra finirà, e penso non lo vedano nemmeno gli israeliani: ora si sentono molto potenti perché hanno ucciso Nasrallah, ma come per Hamas queste non sono solo organizzazioni né comandanti, ma idee, ed entrambe queste idee sono connesse al fatto che lo Stato di Israele per com'è oggi non è accettato dai palestinesi e dal mondo arabo, e non è visto come legittimo da molte persone nel mondo".
    Il conflitto, però, resta estremamente complesso. Anche dentro Israele, in cui "la società è divisa: metà è messianica e pensa che questo sia un momento storico, l'altra è depressa e traumatizzata, ritiene che la questione degli ostaggi sia quella principale ma che il governo non farà nulla per salvarli", aggiunge Pappé. Poi, prosegue, "c'è un piccolo gruppo che ha capito cosa sta facendo Hezbollah e pensa che per fermare la guerra in Libano la si debba fermare a Gaza".
    A determinare molto ciò che sarà, contribuisce anche il modo di raccontare la guerra. "I media alternativi, come i social network, possono anche essere manipolati - afferma Pappé - ma quando si tratta di Palestina le persone hanno la percezione che dai canali ufficiali si riceva propaganda, mentre su quelli alternativi ci sia la realtà. Stiamo vivendo una guerra di narrative, e penso che Israele la stia perdendo". Per lo storico, in tutto questo, "la società civile è pro-Palestina, mentre le élite politiche sono pro-Israele, ma gli organismi intermedi come la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Penale Internazionale, le Nazioni Unite, hanno scelto per la prima volta di essere dalla parte della società civile".
    Il problema per Pappé è che "non c'è un movimento nazionale palestinese che può sfruttare il supporto diffuso", e considerando la situazione sul territorio "dovrebbero essere i palestinesi che si trovano fuori a costruirlo". L'ideale, ribadisce Pappé, per lui sarebbe "un unico Stato democratico. Il problema è che ho sempre sperato avvenisse per negoziazione, ma ora credo si farà dopo tanta distruzione. Non mi piace lo scenario. Dipende anche dalla comunità internazionale". C'è la possibilità che Israele conquisti ancora e ancora territorio? "Ci sarà un limite, e non penso siano nemmeno interessati. Penso vogliano liberarsi di altri palestinesi. Ma ci saranno sempre palestinesi". Ma israeliani e palestinesi dopo tutto questo riuscirebbero a vivere alla pari? "Sì. Prima del '48 musulmani, cristiani ed ebrei vivevano insieme. Penso buona parte delle persone sarebbe felice di avere una vita normale". (ANSA).
   

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