(di Chiara Venuto)
(ANSA) - ROMA, 02 OTT - "I problemi di Israele non sono il
Libano o l'Iran. Il problema resta il fatto che Israele ha il
bisogno di opprimere milioni di palestinesi".
Nel suo ultimo libro, 'Brevissima storia del conflitto tra
Israele e Palestina dal 1882 a oggi', volumetto di 144 pagine
pubblicato in Italia da Fazi Editore con la traduzione di
Valentina Nicolì, il professore dell'università di Exeter cerca
di contestualizzare i fatti di oggi. E non rinuncia a
puntualizzare come le vicende del passato vengano narrate
diversamente dalle parti in causa.
Nella prefazione, invece, propone una riflessione su quelle
che chiama "crepe" nelle fondamenta dello Stato di Israele, rese
evidenti dal mortale attacco di Hamas dello scorso anno. Per
Pappé questi squarci ci sono ancora, anzi, "i feroci attacchi
anche ad altri Stati avvengono proprio per via di queste crepe -
riflette, ma non tentenna - e non sono una soluzione ad esse. La
politica aggressiva di Israele a nord non cambierà il problema
interno della società ebraica israeliana. Non rafforzerà
l'economia del Paese, perché costa molto. Né lo renderà più
popolare. E non farà identificare con Israele i giovani ebrei
nel mondo. Io non vedo come questa guerra finirà, e penso non lo
vedano nemmeno gli israeliani: ora si sentono molto potenti
perché hanno ucciso Nasrallah, ma come per Hamas queste non sono
solo organizzazioni né comandanti, ma idee, ed entrambe queste
idee sono connesse al fatto che lo Stato di Israele per com'è
oggi non è accettato dai palestinesi e dal mondo arabo, e non è
visto come legittimo da molte persone nel mondo".
Il conflitto, però, resta estremamente complesso. Anche
dentro Israele, in cui "la società è divisa: metà è messianica e
pensa che questo sia un momento storico, l'altra è depressa e
traumatizzata, ritiene che la questione degli ostaggi sia quella
principale ma che il governo non farà nulla per salvarli",
aggiunge Pappé. Poi, prosegue, "c'è un piccolo gruppo che ha
capito cosa sta facendo Hezbollah e pensa che per fermare la
guerra in Libano la si debba fermare a Gaza".
A determinare molto ciò che sarà, contribuisce anche il modo
di raccontare la guerra. "I media alternativi, come i social
network, possono anche essere manipolati - afferma Pappé - ma
quando si tratta di Palestina le persone hanno la percezione che
dai canali ufficiali si riceva propaganda, mentre su quelli
alternativi ci sia la realtà. Stiamo vivendo una guerra di
narrative, e penso che Israele la stia perdendo". Per lo
storico, in tutto questo, "la società civile è pro-Palestina,
mentre le élite politiche sono pro-Israele, ma gli organismi
intermedi come la Corte Internazionale di Giustizia, la Corte
Penale Internazionale, le Nazioni Unite, hanno scelto per la
prima volta di essere dalla parte della società civile".
Il problema per Pappé è che "non c'è un movimento nazionale
palestinese che può sfruttare il supporto diffuso", e
considerando la situazione sul territorio "dovrebbero essere i
palestinesi che si trovano fuori a costruirlo". L'ideale,
ribadisce Pappé, per lui sarebbe "un unico Stato democratico. Il
problema è che ho sempre sperato avvenisse per negoziazione, ma
ora credo si farà dopo tanta distruzione. Non mi piace lo
scenario. Dipende anche dalla comunità internazionale". C'è la
possibilità che Israele conquisti ancora e ancora territorio?
"Ci sarà un limite, e non penso siano nemmeno interessati. Penso
vogliano liberarsi di altri palestinesi. Ma ci saranno sempre
palestinesi". Ma israeliani e palestinesi dopo tutto questo
riuscirebbero a vivere alla pari? "Sì. Prima del '48 musulmani,
cristiani ed ebrei vivevano insieme. Penso buona parte delle
persone sarebbe felice di avere una vita normale". (ANSA).
Pappé, per il Medio Oriente serve un unico stato democratico
Storico all'ANSA: "Società divisa, il 7 ottobre ha aperto crepe"