Cultura

Il Gattopardo, un classico ancora pieno di misteri

Anile e Giannice, libro e film condizionati dalla politica

Redazione Ansa

(di Francesco Gallo) (ANSA) - ROMA, 12 OTT - Nonostante "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa sia un classico, il primo bestseller italiano con 100mila copie vendute il primo anno, resta un'opera, come d'altronde anche il film di Luchino Visconti, piena di misteri.
    Lo sostengono Alberto Anile e Maria Gabriella Giannice, giornalisti e storici del cinema, in 'Operazione Gattopardo', sottotitolo 'Come Visconti trasformò un romanzo di 'destra' in un successo di 'sinistra'. Il volume nella nuova edizione aggiornata (Feltrinelli/Saggi, 16,00 euro) va dalla nascita del romanzo, opera postuma di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, fino all'uscita del film di Visconti. Un percorso molto accidentato se si pensa che il romanzo pubblicato da Giangiacomo Feltrinelli fu prima ostracizzato dalla critica di sinistra, ma poi recuperato tanto da diventare una prestigiosa opera cinematografica. E, infine, il film è davvero fedelissimo al libro? Anile e Giannice non sono affatto d'accordo, perché la pellicola fu un vero e proprio tradimento del romanzo anche per le molte polemiche dell'epoca.
    Cosa comportò all'aristocratico comunista Visconti fare un film da un libro considerato sostanzialmente di 'destra'? "Più che di 'destra' diremmo 'conservatore' - dicono all'ANSA gli autori -. Ed in questa 'conservazione' delle memorie, i due aristocratici, il conte Visconti e il principe di Lampedusa, si ritrovano perfettamente. Per il resto Visconti trovò nel romanzo una comune visione critica verso il Risorgimento, enfatizzando in sede di sceneggiatura la lezione gramsciana. Ha poi premuto in senso negativo sul personaggio di don Calogero e del nipote Tancredi, per farne dei 'protofascisti'".
    Ci furono compromessi, ripensamenti? "Nessuno in Lampedusa, che aveva scritto il libro che esattamente voleva scrivere, ma in Visconti sì: il regista aveva vissuto il lungo dibattito sulla presunta natura di 'destra' di un romanzo scritto da un aristocratico. Forte della sua vicinanza ai dirigenti del Pci, Togliatti incluso, Visconti cercò di dire la sua e provò a modificare la storia del libro, pescando addirittura da Verga: non ci riuscì e poco a poco tornò vicino al romanzo, però operando cambiamenti od omissioni che lo hanno mutato di segno".
    Perché poi l'ultimo capitolo del libro è stato ignorato? Ci furono anche lì motivi ideologici? "Come dice Hegel, la verità arriva solo alla fine. Questo è sommamente vero in qualunque opera letteraria, ed è quindi ovvio che in una trasposizione filmica tagliare il capitolo finale sia di per sé un profondo tradimento. Nel Gattopardo lo è in modo particolare, perché in quel capitolo Lampedusa tira le somme delle scelte fatte da don Fabrizio durante i capitoli precedenti, dando una lettura del Risorgimento diversa da quella del film, e denunciando gli esiti del trasformismo, quello della famosa frase 'Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi': per Visconti è una colpa di cui i gattopardi non si pentono, mentre per Lampedusa era una coraggiosa denuncia, anche di certe ambiguità della propria classe".
    Che ne è delle scene tagliate del film "Il Gattopardo" e perché ci furono quei tagli? "Perché Visconti volle migliorare il film in vista del Festival di Cannes, dove infatti ebbe la Palma d'oro. Ma anche perché alcune scene erano un po' troppo ideologiche. Il film era uscito nelle sale italiane più lungo di come lo conosciamo; abbiamo cercato quei dodici minuti in più, e una scena, quella con don Fabrizio che ha gli incubi a causa della cattiva coscienza, l'abbiamo ritrovata poco prima della nuova edizione del nostro libro. Altre scene tagliate erano rimaste in un'edizione francese. Ma all'appello manca ancora qualcosa".
    E infine qual è davvero la distanza, se c'è, tra Tomasi di Lampedusa e Luchino Visconti? "I due, come dicevamo, erano accomunati dall'origine aristocratica, ma mentre il principe siciliano condannava un'unità mal fatta, e aveva il coraggio di criticare i suoi antenati, il regista milanese ha finito per rifugiarsi nella nostalgia. Suonerà paradossale, ma alla fine appare più di sinistra il romanzo di Lampedusa che il film di Visconti".
    (ANSA).
   

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