(di Chiara Venuto)
(ANSA) - ROMA, 24 NOV - Da sei anni Carolina Capria, che è
una scrittrice e sceneggiatrice, racconta sui social la
letteratura femminile, ossia quella scritta da donne, attraverso
il progetto 'L'ha scritto una femmina'. Lo fa per amore dei
libri, ma anche perché è "convinta che finché non attribuiremo
alla voce delle donne lo stesso valore che ha quella degli
uomini, sarà difficile combattere le discriminazioni e la
violenza".
"Il silenzio ha sempre fatto parte della vita delle donne, in
moltissimi modi - riflette Capria -. Dal punto di vista
politico, solo in tempi recenti le donne hanno cominciato a
poter esprimere la loro volontà, con il diritto di voto, a
scegliere per il loro corpo, con la legge sull'aborto, a opporsi
a leggi che limitavano la loro libertà, come il cosiddetto
'matrimonio riparatore'. Dal punto di vista culturale, l'opera
delle donne è stata cancellata o oscurata, e solo in tempi
recenti si sta cominciando a dare risalto al contributo che
centinaia di donne hanno dato alla scienza, all'arte, alla
letteratura, alla medicina". Insomma, "la voce delle donne deve
avere spazio - continua -, spazio che le spetta".
Capria in questi anni non si è però limitata a parlare di ciò
che hanno scritto altre donne. Fa anche divulgazione contro
pregiudizi e discriminazioni di genere. Uno dei suoi progetti
più toccanti è stato 'Yes, all women', attraverso cui ha
raccolto centinaia di testimonianze di molestie e violenze,
arrivatele da donne di tutta Italia. Una quantità di storie
preoccupante che le ha confermato l'esistenza di "schemi
ricorrenti": spesso "gli abusi e le violenze si consumano
laddove esiste la disparità di potere e la vittima è messa nella
posizione di non poter riconoscere la violenza e denunciarla".
Insomma, "continuiamo a ripetere alle donne che devono
denunciare - commenta - ma non facciamo assolutamente niente
perché abbiano la concreta possibilità di farlo e i mezzi per
farlo".
Tocca anche "ammettere che esiste il patriarcato", prosegue,
cosa che però "significa prendersi delle responsabilità, in
quanto uomini innanzitutto, ma anche in quanto donne. Significa
guardare ai propri comportamenti con uno sguardo diverso,
analizzarli e cambiarli. Un lavoro non solo complesso ma anche,
sulla carta, sconveniente. Ma finché non si guarderà in faccia
il problema, finché non si capirà che siamo tutti dentro lo
stesso sistema, non faremo dei passi avanti".
Avvicinandoci a una data importante come la Giornata
internazionale per l'eliminazione della violenza contro le
donne, bisogna riflettere su ciò che non è ancora stato fatto.
Secondo l'autrice e divulgatrice "non ci stiamo occupando,
almeno a livello istituzionale, di combattere la cultura della
quale la violenza di genere è espressione. Bisognerebbe partire
dall'educazione che bambine e bambini ricevono già dai primi
anni di vita, e lavorare affinché nella loro mente non si
insinuino tutti quegli stereotipi e pregiudizi che sono alla
base della piramide della violenza di genere".
Un'educazione all'affettività di cui si è parlato tanto dopo
il femminicidio di Giulia Cecchettin. Fuori dalle scuole e dai
contesti più formali, esistono dei testi che cercano di guidare
la sensibilità dei più giovani, alcuni dei quali portano la
firma proprio di Carolina Capria, come per i due volumi di
'Femmina non è una parolaccia' (Marietti Junior) e 'Io dico no
agli stereotipi. 10 parole per capire il mondo' (Mondadori).
"Quello che ho capito in tanti anni di lavoro è che parlare con
bambine e bambini di alcuni temi è molto semplice, quasi
naturale - racconta - data la giovane età non possiedono le
sovrastrutture che portano gli adulti a reiterare alcuni
comportamenti credendoli corretti. Il concetto di consenso, per
esempio, per i bambini è di facilissima intuizione. L'unica cosa
che si deve fare con loro è proporgli delle questioni, farli
riflettere su alcuni temi, poi fanno tutto da soli ed
egregiamente". (ANSA).
Carolina Capria, 'non stiamo combattendo cultura della violenza'
'E non facciamo nulla perché le donne possano denunciare'